sabato 22 febbraio 2020

Il cono craterico del Neck di Motta Santa Anastasia

La struttura geologica su cui si sono insediate le diverse comunità di cui abbiamo notizie storiche a partire dal XIII secolo a.C., ma che, con molta probabilità, dovettero essere presenti già dal XIII millennio a.C., è costituita da uno o, come sostiene qualcuno, due coni vulcanici sottomarini, emersi contestualmente al graduale formarsi dell’Etna a partire dalla presumibile data di 600.000 anni fa. La prima comunità insediatasi nel sito dell’odierna Motta Santa Anastasia nel XIII secolo a.C. fu Inessa, rinominata Aitna nel 461 allorchè gli abitanti di Corinto che avevano colonizzato Katana dopo la conquista da parte di Siracusa nel 476 a. C. furono scacciati da Ducezio e si insediarono ad Inessa, rinominata Santa Anastasia tra il VI ed il VII secolo, rinominata La Mota de Santa Anastasia all’inizio del XIV secolo. La nascita del Neck avviene per effetto della prima attività eruttiva sub-etnea, anteriore alla nascita dell’Etna, datata a  circa 600.000 – 550.000 anni fa, per cui si formò un cono craterico sottomarino che, gradualmente, nei milleni successivi emerse dalle acque marine, così come il restante territorio dell’odierna Motta Santa Anastasia, venendo successivamente eroso, nelle parti composte da arene e argille dai venti e dalle acque piovane, per dare vita all’imponente Neck che possiamo vedere nella sottostante foto: rarità geologica di cui esistono solo pochissimi esempi nel resto del mondo, oggetto purtroppo di eventi dovuti alla natura ed alla mano dell’uomo che ne mettono a repentaglio la tutela e la conservazione.

Il Neck di Motta Santa Anastasia in una foto degli anni '60 dopo una delle rare nevicate

Il problema della individuazione del sito ove si trova il condotto craterico del Neck di Motta Santa Anastasia fu, a suo tempo, affrontato dal  Prof. Carlo Gemmellaro nella “ La vulcanologia dell’Etna” sulla base degli studi condotti all’inizio ed intorno alla metà dell’800. Nell’esaminare il sistema vulcanico dell’Etna il Prof. Gemmellaro  esaminò con molta attenzione la rupe di Motta Santa Anastasia, fornendone un’accurata descrizione geologica, che di seguito riportiamo: “ In mezzo ad una formazione terziaria di gres ed argilla, che forma i colli della Motta e delle Terreforti di Catania, si eleva isolata dagli altri vulcani la rupe basaltica di Motta, che non sembra avere rapporto con le altre lave dell’Etna, avendo tutte le apparenze di un vulcano indipendente dal gran focolare. Nella parte superiore si osservano i vestigi ed i materiali di un cratere, ed un pissolo corso di lava, che da quello dovette provenire; del quale una porzione resta nel lato di ponente, essendo il rimanente sparso insieme alla collina che lo sosteneva, nelle valli del terreno dei dintorni, per la forza delle acque, che han solcato tutta quella estesa parte della più volte cennata formazione terziaria superiore. La rupe di Motta, infatti, sorge su un suolo nettunio e senza appendici che la congiunga all’Etna. La Rupe mostra un cratere alla superficie superiore ed un corso di lava che si versa verso ovest, che si è fatto strada, probabilmente, in mezzo alla formazione nettunica, quando non era stata per anco logorata e tratta giù dalle acque, e dagli scavamenti prodotti, in seguito, da’ torrenti. In passato, forse, questo vulcano poteva aver avuto comunicazione col focolare pirossenico dell’Etna, per mezzo di un particolare spiraglio, ma dovette essere di poca durata, finchè la gola perenne del vulcano non avesse stabilito un più ampio canale fra il suo asse ed il focolare”. Nella classificazione che fece il Gemmelaro delle sei tipologie di lave del distretto vulcanico dell’Etna, ecco come classifica la lava della rupe di Motta: “ […] lava basaltica compattissima nerastra, con minutissimi punti di pirossene ed olivina, frattura scagliosa. La rupe della Motta, sorge pressoché isolata sul terreno di gres ed argilla, non restandovi a contatto, per ponente, se non per un aquarto circa del suo ellissoide perimetro; la sua altezza, dalla parte di mezzogiorno è circa 170 o 180 p.p. . La base, come la maggior parte della massa, offre un aggregato di prismi basaltici, di una pasta grigio-oscura, sparsa di piccoli granelli di olivina, e rarissimi cristalli di pirossene. Questi, nella parte meridionale, che è la più sgombra, ed appresta più chiara la struttura della roccia, sono più regolari, esogeni, e riuniti in un fascio inclinato a nord, tendente, così, verso il centro di tutta la rupe, a guisa di una piramide alta 80 piedi all’incirca. Il rimanente della roccia è formato di masse amorfe, di grossa mole; ma guardate a distanza si vede che nello insieme assumono poi una grossolana forma prismatica. Quasi a metà del lato orientale la massa basaltica pare che si elevasse in un sol pezzo semiconico; però osservata da vicino si osserva rompersi in piccoli prismi poligoni della stessa pasta; lo che si può anche osservare in un’altra simile massa, verso tramontana. Sopra questo grande materiale, che diremo basaltico, si posa un’ammassamento di una specie di tufo vulcanico, composto di piccole scorie rossastre, di pezzi di rocce pirogenetiche, e di qualche rognone di argilla; in alcuni punti anche ciottoli di arenaria e qualche resto di conchiglia fossile terziaria si sono rinvenuti. Verso la parte di Nord-Est questo tufo si vede introdotto fra uno strato e l’altro delle masse pirogenetiche; nel lato di tramontana esso ricopre quella porzione della rupe sino a più di metà della superficie. Quivi si osserva il margine di un vero cratere, nel sito, appunto, fra la torre normanna e la Chiesa Madre; e le scorie brune e rossastre, le arene grossolane, i lapilli, e la lava più vetrosa e carica di cristalli di pirossene e felpato in lamine, mostrano una apertura di vulcanica eruzione, non delle più antiche, ed in tutto simile a quelle dell’Etna. Questa lava copre i basalti nel lato di mezzogiorno e parte di levante, ma più ancora in quello di ponente, ove essa, vicino al quartiere delle Porte si va ad unire con le masse basaltiche. Il corso di questa lava non si scorge oltre i confini della rupe; ed a prima vista sembra non essersi estesa più in la; è facile, però, concepire, che come venne messo il suolo terziario che lo sosteneva, si fosse frata con quello, e trasportata giù ne’ sottoposti terreni; come in effetto non poche masse di lava si veggono sparse appiè della rupe della Motta e nel terreno che lo circonda, appartenenti tanto alla roccia basaltica quanto alla lava di epoca più recente. Da queste osservazioni sopra la rupe di Motta si può conchiudere che un vulcano si è aperto, sopra rocce di antica data, e forse basaltiche, e non è difficile che quelle inferiori fossero coeve al prossimo terreno basaltico sopraccennato, e preesistente alla venuta della formazione terziaria. Nella rupe della Motta, infatti, questo terreno, dalla parte di tramontana, si vede interposto tra le rocce prismatiche e quelle superiori: il fuoco vulcanico che lo produsse, attraverso la formazione basaltica, forse perché otturato il canale ordinario della gola dell’Etna”.

Il sito del cono craterico del Neck di Motta Santa Anastasia e sullo sfondo l'Etna – foto di Mario Guarnera

Il sito indicato dal Prof. Gemmellaro come quello in cui si trova il cono craterico del Neck di Motta Santa Anastasia; sullo sfondo il Dongione del Castello – foto di Mario Guarnera

I bordi esterni del cono craterico del Neck di Motta Santa Anastasia, imbrattati di vernice; in prospettiva resti delle mura del Castrum Bizantino, rimaneggiate dai Normani prima e dagli Aragonesi successivamente – foto di Mario Guarnera

 

 

 

lunedì 17 febbraio 2020

Ciak in piazza Duomo. Si gira: Catania città barocca

Proprio nel mese di agosto di 65 anni fa, nel 1955, si finiva di girare a Catania il cortometraggio a colori dal titolo “ Catania Città Barocca”; soggetto e sceneggiatura di Giuseppe Beretta e Ugo Saitta, direttore della produzione Rita Consoli, operatore Giuseppe Consoli, adattamento musicale di Virgilio Chiti, testo del commento di Giuseppe Beretta (in basso nella foto mentre sta esaminando, con Ugo Saitta, e nella foto successiva con Rita Consoli, moglie di Ugo Saitta, alcune scene di Catania Città Barocca, opera del pennello di Sebastiano Miluzzo).

Nel contesto di quella attività volta a valorizzare in campo nazionale ed estero le peculiarità e le bellezze architettoniche della città di Catana, si sviluppò, parallela, una viva polemica che ebbe come innesco iniziale la manifestata volontà amministrativa della giunta comunale di realizzare alcuni interventi di “ Modernizzazione” urbanistica in via Crociferi a Catania; fortemente contestati da Ugo Saitta e Giuseppe Beretta che presero una chiara e decisa posizione, scrivendo al giornale “ La Sicilia”, per salvaguardare l’integrità storico-architettonica di via Crociferi: presa di posizione che, fortunatamente, contribuì a bloccare il progetto.

Tra le tante opere, frutto della collaborazioni tra Ugo Saitta e Giuseppe Beretta, quella che ebbe maggiore visibilità, non solo per la polemica che ebbe posto sulla stampa ma anche perché venne successivamente trasmesso dalla RAI, fu il documentario con commento sonoro, girato nel 1955, intitolato “ Catania Barocca” e trasmesso dalla RAI nel 1961.

Il 6 maggio 1961 così scriveva “ La Sicilia”: “ Suggestivo il documentario di Ugo Saitta alla TV – Catania Città Barocca – Un ottimo “ Parlato” di Giuseppe Beretta ed eccellenti musiche del maestro Virgilio Chiti hanno commentato le riuscite sequenze.” (1)Così scriveva il “ Corriere di Sicilia” di Mercoledì 10 maggio 1961 nell’articolo intitolato “ Messo in onda dalla Televisione – Ugo Saitta ne “ La Città Barocca”: “ Quanto diciamo viene anche comprovato dal fatto che il Saitta abbia fatto ruotare nelle sue troupe, quasi sempre gli stessi collaboratori. […] Intendiamo riferirci a Rita Consoli che ha firmato tutta la produzione di Ugo Saitta in qualità di Direttrice di Produzione, al Prof. Giampiero Pucci, al Prof. Giuseppe Beretta diretto collaboratore da diversi anni quale coautore per i soggetti e le sceneggiature ( e per Città Barocca anche dell’ottimo commento parlato) e del M. Chiti, commentatore musicale.”(2) Per la preparazione dei contesti scenografici Ugo Saitta si è avvalso dell’opera di Sebastiano Milluzzo, docente anche lui al Magistrale G. Lombardo Radice di Catania che, come riporta il Corriere di Sicilia ebbe: “ … anche lui una parte importante nella fatica di Ugo Saitta. Sue infatti sono le persuasive pennellate pittoriche”. (3)

Il cortometraggio inizia con una inquadratura che ritrae un lampione di piazza Duomo che si spegne mentre si accendono le prime luci dell’alba e prosegue con l’avvio di una carrozza dell’epoca, trainata da una cavallo che parte da piazza Duomo, vicino la fontana dell’Elefante e si avvia verso via Vittorio Emanuele in direzione est.

A piazza Duomo e nelle sue immediate vicinanze saranno girate molte delle scene del cortometraggio e la troupe “ girò” con grande partecipazione di pubblico, come si vede nelle sottostanti foto che vedono Giuseppe Beretta anche alle prese con a macchina da ripresa.

Il Testo del commento parlato, che accompagna le immagini trasmesse con una sincronicità perfetta che rende piacevolissima la visione del cortometraggio, è di Giuseppe Beretta e di seguito lo riportiamo, avvertendo il lettore che la sola lettura del testo, scollegato dalla visione delle immagini, non rende a volte chiaro e visibile l’obiettivo del commento parlato; tenteremo di limitare questa mancanza indicando i contesti in cui si innesta il parlato.

IL COMMENTO PARLATO DI GIUSEPPE BERETTA [ sotto ritratto in una foto degli anni ’60 ]

[ la scena si svolge a piazza Duomo ]

Sette volte l’Etna e i terremoti hanno distrutto Catania: sette volte Catania è risorta e si è rinnovata, quasi con la stessa costanza del suo sole.

Dopo il terremoto del 1693 la città fu interamente ricostruita; la fantasia settecentesca doveva darle la sua forma definitiva ed armoniosa di città barocca.

Forse perché il barocco non può fare a meno del sole … e qui, ad ogni nuovo giorno, esso rivive la sua vicenda di luce.

[ la scena si avvia su piazza Stesicoro ]

E, tuttavia, Catania è città moderna, ne il suo stile li contrasta.

[ la scena si avvia prima davanti e poi dentro il collegio Cutelli ]

Pago dei suoi ritmi di pietra bianca e di lava, il barocco assume, qui, una sua eleganza pacata e funzionale che accoglie e distende i dinamismo cittadino che può creare ambienti di pace raffinata e remota.

Giovan Battista Vaccarini fu il principale artefice di queste aeree scenografie.

Per i figli dei nobili del tempo egli ricamò il collegio Cutelli …

[ la scena si svolge dentro la corte della sede centrale dell’universita di Catania ]

e suo è il disegno della corte dell’università.

[ la scena si svolge all’esterno e nel cortile di palazzo Biscari ]

Ancora è pace nelle ville signorili; il sole sarà alto quando la damina con neo, parrucca ed occhialetto, scenderà incontro al cavalier servente. Forse ora riceve la sua lezione di danza, compra crine e crinoline ed occupatissima nel cercar nel vestir l’ultimo taglio, che son di Francia i guanti ed i merletti, la mantiglia, la cuffia ed il ventaglio. Però questa non ha crinolina.

[ la scena si avvia riprendendo l’esterno del lato sud di palazzo Biscari ]

La dinastia degli Amato creò un nuovo e diffuso gusto della pietra bianca intagliata. Di Antonio è il prospetto di palazzo Biscari.

[ la scena si avvia inquadrando il prospetto est del mnastero di San Nicolò ]

Andrea è il principale autore del monastero benedettino di San Nicolò, monumentale complesso architettonico che fu uno dei più vasti e più opulenti del mondo.

Nel barocco, come nella forma più congeniale, finirono per confluire le esperienze architettoniche siciliane.

Quello degli Amato è uno stile denso e corposo, fuso nella sua struttura maestosa, malgrado la dovizia di motivi decorativi, di reminiscenze classiche e perfino arabe.

[ la scena si avvia con l’inquadratura del frontale della chiesa della Collegiata ]

L’architettura religiosa  riassume il senso del barocco catanese; la Collegiata di Stefano Ittar inscrive in via Etnea la vaporosità dei suoi accordi.

[ la scena si avvia con l’inquadratura della Badia di S. Agata ]

Sant’Agata del Vaccarini raccoglie, nella delicatezza di una curva, l’armonia dei suoi ricami.

[ la scena si avvia con l’inquadratura dell’arco di via Crociferi ]

L’arco di Alonzo Di Benedetto sembra chiudere via Crociferi nell’immobilità del tempo; chiese e conventi fiancheggiano compatti la strada miracolosamente intatta nel suo disegno architettonico; qui ogni sperpero fantastico cede alla religiosità pacata, all’eleganza estenuata della preghiera. Il barocco assume una sua più interiore solidità, raccoglie e conclude il suo splendore in uno slancio religioso anelante e assorto. Gelosamente schiva da ogni contaminazione, via Crociferi è il cuore segreto di Catania … città barocca. 

  1. La Sicilia del 6 maggio 1961, in Alessandro De Filippo, Ugo Saitta, un album di ricordi; analisi di una stagione cinematografica, Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale. Catania 2012. Doc. n. 144 fronte. P. 370.
  2. Corriere di Sicilia del 10 maggio 1961, in Alessandro De Filippo, cit. doc. 143 fronte, p. 369.
  3. Corriere di Sicilia del 28 giugno 1955, articolo: Documentari di U. Saitta.

lunedì 10 febbraio 2020

Quando Motta Santa Anastasia era in fondo al mare

Oggi l’altitudine più elevata che possiamo rilevare nel territorio di Motta Santa Anastasia supera di poco i 300 metri sul livello del mare nella contrada Tiritì, a poca distanza dal Cimitero di Guerra Tedesco, ma durante il periodo postpliocenico lo stesso territorio si trovava sotto il livello del mare con una probabile differenza di meno 350 metri rispetto all’altitudine attuale. Per effetto della prima attività eruttiva sub-etnea, anteriore alla nascita dell’Etna, datata a circa 600.000 – 550.000 anni fa si formò un cono craterico sottomarino che, gradualmente, nei millenni successivi emerse dalle acque marine, così come il restante territorio dell’odierna Motta Santa Anastasia, venendo successivamente eroso, nelle parti composte da arene e argille dai venti e dalle acque piovane, per dare vita all’imponente Neck che possiamo vedere nella sottostante foto: rarità geologica di cui esistono solo pochissimi esempi nel resto del mondo, oggetto purtroppo di eventi dovuti alla natura ed alla mano dell’uomo che ne mettono a repentaglio la tutela e la conservazione.

Le testimonianze naturalistiche che provano come il territorio dell’odierna Motta Santa Anastasia fosse un tempo sotto il livello del mare postpliocenico sono state oggetto di alcune, importanti, testimonianze letterarie di cui la prima a firma di Giuseppe Recupero nel suo lavoro Storia Naturale e Generale dell’Etna, pubblicata dopo la sua morte dal nipote Agatino Recupero nel 1815. Giuseppe Recupero parlando di una parte del territorio di Motta Santa Anastasia, i Sieli, un insieme di colline di cui così ne descrive parte della loro composizione, fornendoci una chiara testimonianza del fatto che quei terreni fossero stati un tempo sotto il livello del mare: Tra il castello della Motta, e la terra di Misterbianco avvi un terreno, il quale forma nel suo circuito un triangolo isoscele , e gira quasi tre miglia. […] In altra delle menzionate Colline tra due strati di creta pietrificata ho ritrovato due Ostraciti imbricate ben conservate, le quali testimoniano quanto ben detto avea il Sig. Agostino Scilla, che la costituzione di alcuni terreni cretosi sia la più adatta per ben conservare le soglie marine.

A questa prima testimonianza proveniente dai risultati delle osservazioni di Giuseppe Recupero, ne possiamo aggiungere altre, anche recenti, ma vogliamo riportare quanto scrisse Salvatore Scalia nel 1906 in una sua memoria pubblicata agli Atti dell’Accademia Gioenia dal titolo: I Fossili Postpliocenici di Salustro, presso Motta Santa Anastasia. Dice Scalia: La nova località fossilifera dalla quale provengono le specie più avanti enumerate mi venne indicata dal sig. De Fiore che ne ebbe notizia dai signori Monaco, nella cui proprietà sita in contrada Salustro, a trecento metri circa ad ovest del cimitero di Motta S.A., i fossili si trovano in grande abbondanza sul pendio settentrionale di una collinetta argillosa, elevata di 280 metri sul livello del mare. In questa località, come negli altri depositi del postpliocene sub-etneo, le argille azzurre, quasi pure, che stanno in basso, sono molto povere di fossili, i quali si trovano invece in abbondanza nelle argille superiori, giallastre e sabbiose che contengono anche dei ciottolino di arenarie, di quarziti e di diverse rocce cristalline. Nella formazione argillosa di Salustro non ho riscontrato Lenti di sabbie vulcaniche, ciottoli di basalto, cristallini isolati di augite o frammenti di altri elementi vulcanici che si trovano frequentemente nei depositi di Nizzeti, Catira, S. Paolo, etc. superiormente agli strati fossiliferi, che formano come una lente, si notano degli straterelli di sabbia zeppi di piccole valve di Mactra Subtruncata, Mont G. Sp., e più in alto le argille, sempre più sabbiose, passano a sabbie giallastre, sulle quali riposa il conglomerato che si estende sopra una vasta zona delle Terreforti. Dall’elenco che segue risulta che le specie da me rinvenute nella contrada Salustro ascendo a 154, delle quali solo cinque non sono conosciute viventi: Chalamys sub-clavata, Cantr. Sp., Dentalium Philippi, Montrs, Turritella Tricarinata, Br. Sp., var. Plio-Recens, Montrs., Buccinum Striatum, Ph., Nassa Crasse-Sculpta, Brugn. Sp.. Queste specie si riscontrano anche negli altri depositi postpliocenici sub-etnei. Questa forma […], non lascia alcun dubbio sul riferimento di questo nuovo deposito fossilifero ad un orizzonte molto elevato del Postpliocene Marino o Piano Siciliano del Doderlen, al quale appartengono gli altri depositi argillosi sub-etnei.


Critolao il più famoso sarto di Sicilia

Gaius Licinius Verres ( Verre) venne nominato Pretore di Sicilia nel 73 a.C. ed usufruendo di una imprevista proroga del suo mandato dovuta ...