venerdì 12 giugno 2020

La villa romana di Misterbianco

Mentre stavo conducendo una ricerca su una antica struttura che presentava tracce di sovrapposizioni architettoniche riferibili a più epoche (fig. 1) sita in contrada Mezzocampo a Misterbianco, mi imbattevo casualmente in una notizia, pubblicata da M. A. Platania e N. Giuffrida Condorelli, che attestava la presenza passata dei ruderi di un’antica villa romana sulla destra della strada che, dopo il bivio all’uscita di Misterbianco, conduce a Paternò e Motta Santa Anastasia.

Così gli autori: «In contrada ‘Erbe Bianche’ a destra della statale 121, dopo il bivio Motta Santa Anastasia-Paternò, un tempo erano visibili i ruderi di un’antica villa romana, situata proprio qui, nell’antico suburbio di ‘Catina’ che è il territorio odierno del comune di Misterbianco. Queste vestigia, furono ampiamente descritte da Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari, nel suo Viaggio per tutte le antichità della Sicilia pubblicato a Napoli, nel 1781. Questa sontuosa dimora doveva appartenere a qualche patrizio, o ad un ricco possidente del luogo, ed offriva per la sua struttura e per la sua posizione, le comodità di una casa cittadina, e la salubrità di aria e di luce, dell’amena campagna di Catania»(1).

La successiva verifica effettuata sul testo di Ignazio Paternò Principe di Biscari, confermava la notizia, fornendo ulteriori e specifiche indicazioni topografiche che permettevano l’esatta individuazione del sito dove doveva trovarsi la villa romana. Così il Principe di Biscari: «Seguitando la strada, che riconduce il Viaggiatore in Catania [provenendo da Paternò], prima di arrivare a Misterbianco, sulla sinistra della medesima, e da essa circa 300.

Passi lontano, nelle Terre chiamate Erbe Bianche, tra due alte eminenze di lava si vedono gli avanzi di un Edificio quadrolungo, che dalla parte di Ponente è fatto a volta; ed il pavimento, che sopra questo esiste, e porzione di elevazione delle sue mura, mostra, che avea un second’ordine. La eminenza, che è rivolta a tramontana è formata di strati di gran pietre di lava tutti di un’altezza, in maniera che tagliati sembrano riquadrate pietre lavorate dall’arte. Di molti di questi pezzi anticamente servironsi, cavati nello spianare la sommità di questa eminenza, sulla quale si scorge ancor oggi la costruzione di fortissimo Edifizio, fabbricato di simil pietre riquadrate dalla natura, di grandezza di sei a dieci palmi»(2).

Nel mentre mi accingevo ad approfondire la ricerca bibliografica, effettuavo un sopralluogo a distanza per scattare alcune foto e per avere contezza della corrispondenza tra quanto detto dal Biscari ed i luoghi che esso indicava. Le due collinette laviche caratterizzanti il sito indicato dai predetti autori, è chiaramente identificabile nelle figg. 2 e 3.

Figg. 2-3 - Le due collinette tra cui doveva sorgere la villa romana.

Ottenuto un positivo riscontro tra quanto affermato dal Principe di Biscari e l’attuale stato geologico dei luoghi in questione, ho cercato ulteriori testimonianze storico-bibliografiche che si riferissero alla presenza di una villa romana tra le due collinette laviche indentificate nelle foto.

Ancora più esplicito circa i resti che si trovavano nel sito di cui stiamo trattando, il Principe di Biscari lo era stato nella relazione (il Plano) inviata al Re, datata 10 aprile 1779, nella sua qualità di Regio Custode delle Antichità esistenti nelle due Valli di Demona, e di Noto. Così relazionava il Principe di Biscari: «Erbe Bianche. Prima di arrivare a Misterbianco sulla sinistra della strada circa trecento passi entro le terre che chiamano Erbe Bianche trà due alte eminenze di lava si vede un residuo di fabbrica di forma quadrolunga, che dalla parte di Ponente hà una volta, che forma il pian Terreno di essa, e che mostra aver avuto l’ordine superiore, che ancora si vede sebbene gran parte diroccato. Sopra l’altura che guarda la Tramontana si scorgono i fondamenti di robbusta fabbrica, che davano ingresso ad un piano formato sopra la rocca, ed ad altro capo del piano suddetto si osservano le fabbriche di grossissime pietre quadrate poste senza calcina, e senza essere state lavorate, così prodotte dalla natura nel luogo medesimo; di tal genere di pietre essendo formata la rocca, locchè potria dare, che pensare ai Naturalisti»(3).

Della presenza di un’antico edificio nel luogo indicato dal Principe di Biscari, ancora esistente all’inizio dell’Ottocento, parla Antonio Nybbi: «Seguitando la via, che riconduce a Catania, prima di giungere a Misterbianco si vede a sinistra nell’interno delle terre circa 300 passi distante un antico edificio quadrolungo di incerto uso, posto fra due alte eminenze di lava. Di queste l’eminenza a settentrione è formata di strati di lava di eguale altezza che, tagliati, sembrano pietra quadrate. Di questa lava è formato un antico rudere, che ivi si osserva, le cui pietre hanno da se a dieci palmi di grandezza»(4).

Il sito dove insistono le due collinette laviche appartiene, oggi, al territorio del comune di Misterbianco; in passato, dal XII secolo a.C. al 21 a.C., questa porzione di territorio apparteneva alla città di Inessa-Aitna (l’odierna Motta Santa Anastasia)(4), per essere inglobata successivamente, dal 21 a.C., alla Chora di Catina, divenendo nel tempo territorio di uno dei tanti Casali di Catania; riscattata dal sorgente comune di Misterbianco nel XVII secolo(5).

Anche Jean Houel nel suo viaggio in Sicilia aveva ritratto una delle collinette laviche fuori le porte di Misterbianco, come si può vedere nella fig. n. 4.

Fig. 4 - Stampa di Jean Houel raffigurante una delle due collinette nei dintorni di Misterbianco.

Nelle figg. 5, 6, 7, tratte da Google Earth, sembrano intravedersi linee, nello spazio tra le due collinette, che potrebbero essere compatibili con il profilo di una costruzione che, come indicato precedentemente, attestano la presenza di una villa romana ed i cui ruderi erano visibili almeno fin all’800.

Figg. 5-6-7 - Foto tratte da Google Earth, dove tra le due collinette sembrano intravedersi linee compatibili con una costruzione.

La posizione della villa permetteva una magnifica vista sull’Etna e su tutto il circondario. Sulla sua eventuale datazione si potrebbero ottenere probabili risposte solo se fossero effettuati saggi archeologici dalla locale Sovrintendenza; così come potrebbe accertarsi la tipologia e la datazione dei ruderi della costruzione che si trova sulla cima della collinetta che guarda a Tramontana.

L’autorevolezza delle notizie e dei dati che ho raccolto e citato non sembrano lasciare dubbio alcuno circa l’effettiva esistenza di una villa romana la cui costruzione, in teoria, potrebbe appartenere al periodo anteriore al 36 a.C. od al periodo posteriore al 36 a.C.

La linea di demarcazione tra i due periodi è costituita dalla conquista della Sicilia da parte di Ottaviano, dopo la sconfitta di Sesto Pompeo Magno, che porterà una certa stabilizzazione delle proprietà     romane nell’isola.

Nell’eventualità che la costruzione della villa romana di contrada Erbe Bianche a Misterbianco sia posteriore al 36 a.C., vi sarebbe una certa probabilità che tale villa appartenesse a M. Vipsanio Agrippa, eventualmente costruita da costui non oltre il 12 a.C., anno della sua morte. Infatti il sito ove insistono i ruderi della villa appartengono a quel territorio che fu donato da Ottaviano a M. Vipsanio Agrippa quale ricompensa per la vittoria navale a Mylae ( nel 36 a.C.) e per la successiva vittoria a Naulochus. La notizia circa i possedimenti di M. Vipsania Agrippa viene fornita dal Casagrandi che utilizza una lettera di Orazio all’amico Iccio (Procurator Agrippae est constitutus, cui agrum ei commendavit) che si trova in Sicilia ed a cui scrive: «Fructibus Agrippae Siculis quod colligis, Icci Si recte fueris non est ut copia maior Ab Iove donari possit tibi […]»(6).

Circa gli indizi che inducono il Casagrandi ad affermare la localizzazione dei possedimenti di M. Vipsanio Agrippa in Sicilia, così si esprime: «La presenza in Catania di un Vipsanio Attico con la famiglia (sib et suis), fa ritenere che i terreni dati in ricompensa a M. Vipsanio Agrippa fossero di quelli per cui l’isola in ogni tempo andò famosa per il ricchissimo prodotto, terreni cioè, della Piana di Catania e delle falde boschive dell’Etna. In quel Vipsanio Attico noi vediamo pertanto un altro degli amministratori del patrimonio di M. Vipsanio Agrippa nell’isola, e di quello in particolare posto nel territorio catanese»(7).

Naturalmente la villa di contrada Erbe Bianche a Misterbianco potrebbe appartenere al periodo successivo al 1° secolo a.C.; vediamo infatti che in epoche successive la Sicilia, ed in particolare le zone alle falde dell’Etna, fu privilegiata dalle più importanti famiglie senatoriali romane per costruirvi le proprie ville anche al fine di risiedervi. Così Lellia Cracco Ruggini descrive la Sicilia in epoca imperiale: «I clarissimi cominciarono pertanto a frequentare l’isola curandovi Res e Negotia, direttamente oppure tramite uomini di loro fiducia, che erano inviati di tanto in tanto nella capitale (come l’intendente Euscius, di cui si valse Q. Aurelio Simmaco in diverse occasioni); si abituarono a trascorrere in Sicilia periodi di Otium e Secessio, dedicandosi alla caccia, alla pesca, al nuoto, alla filosofia, alla Emendatio di testi antichi e alla traduzione in latino di opere greche, alla vita contemplativa. Talvolta, addirittura, a detta della Historia Augusta, intrecciano parentele con alcune fra le poche famiglie senatorie localmente emergenti e radicate nell’isola sin dal II-III secolo, finendo spesso col riassorbirne beni, interessi, influenze e patrocinii; ed accade che in Sicilia trovassero anche sepoltura»(8).

Non possiamo tralasciare di ricordare che i beni siciliani di M. Vipsanio Agrippa vengono ereditati dall’imperatore Augusto, dopo la morte del vincitore della battaglia di Mylae(9). Ed ancora sull’argomento Giardina: «La presenza di Gentes Senatorie le cui origini e le cui vicende connettono Italia, Sicilia e Africa s’associa a un vasto processo di concentrazione fondiaria, che la documentazione mostra maturo nel IV secolo. Le grandi ville tardoantiche esprimono il radicamento- in Sicilia come in altre regioni dell’impero – di nuovi rapporti di produzione fondati sul colonato, in un quadro complessivo che ‘porta il segno della vitalità, non della decadenza’»(10).

Bibliografia

1) Marco Antonio Platania, Nino Giuffrida Condorelli, Comune di Misterbianco, saggio storico illustrato sul comune, sulle industrie, sui soprannomi, sui poeti, e sui pittori di Misterbianco, Catania 1968, p. 6.

2) Ignazio Paternò Principe di Biscari, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, Nella Stamperia Simoniana, Napoli 1781, p. 61.

3) Relazione delle Antichità de Regno di Sicilia esistenti nelle due Valli di Demona, e di Noto scritta Per Sovrano Real Comando da Ignazio Vincenzo Paternò Caspello Principe di Biscari, in Giuseppe Pagnano, “Le Antichità del Regno di Sicilia 1779 - I Plani del Biscari e Torremuzza per la Regia Custodia”, Arnaldo Lombardi Editore, Siracusa, Palermo 2001, p. 150.

4) Antonio Nybbi, Itinerario delle antichità della Sicilia, presso Vincenzo Poggioli Stampator Camerale, Roma 1819, (da Google).

5) https://dl.dropboxusercontent.com/u/69278505/Motta%20Santa%20Anastasia%2C%20testo.pdf- Santi Maria Randazzo, Storia di Motta Santa Anastasia.

6) Casagrandi Orsini Vincenzo, Raccolta di studi di storia antica, Tipografia Editrice dell’Etna,Catania 1983, p. 131.

7) Casagrandi Orsini Vincenzo, cit., p. 133. 8) Lellia Cracco Ruggini, Sicilia, III/IV secolo: il volto della non città, Kokalos nn. 28-29, 1982-1983, p. 483.

9) Lellia Cracco Ruggini, cit., p. 507.

10) A. Giardina, Storia e storiografia della Sicilia Romana, Kokalos XXXIV-XXXV, 1988-1989, 1, p. 441.

venerdì 5 giugno 2020

Ricostruzione virtuale della chiesa di Santa Maria Depinta di Palermo

Anche in Sicilia si cominciano a costruire edifici di tipo basilicale, con strutture sia mononave che organizzate su aule tripartite, solo dopo l’inizio dell’impero di Costantino il Grande, nel corso de IV secolo d.C., per l’impulso alle nuove costruzioni che venne dato da Costantino a seguito dell’innalzamento della religione cristiana a religione ufficiale dell’impero romano. Le nuove chiese costruite in Sicilia vennero realizzate utilizzando, a volte, le strutture di preesistenti edifici pagani o realizzandole nell’area  dei siti di quegli antichi templi pagani che vennero distrutti per far posto ai nuovi edifici cristiani, spesso in sintonia con un’operazione culturale e religiosa mirata alla sostituzione del credo cristiano al posto dei vari riti religiosi pagani. Una delle prime chiese cristiane di Sicilia, già oggetto di evidence archeologica per come riferito da F. P. Rizzo, e datata all’epoca costantiniana da Pietro Griffo, è la basilichetta paleocristiana che sorge ai piedi del versante orientale della collina dei templi [ di Agrigento]. “[…]Tale ritrovamento, pertanto, mentre data intorno al 370 la modifica intervenuta, offre un prezioso termine ante quem per l’impianto originario della basilichetta che può essere riportato al periodo costantiniano”. (1)

P. Rizzo, per la medesima chiesa, indicata come ‘basilichetta del Vallone di S. Biagio’, ha ritenuto di fare le seguenti osservazioni con cui ha evidenziato alcune caratteristiche della stessa: “ Inoltre il tipo di struttura (mononave solida e compatta) della basilichetta fa pensare che questa abbia avuto origine da un tempietto sepolcrale pagano [sembrerebbe proprio che stia indicando un criterio identificativo ], come avviene per le memoriae di apostoli e martiri. In ogni caso la basilichetta è più vicina alla tradizione delle celle sepolcrali cristiane del III secolo che non alle grandi basiliche cristiane della seconda metà del IV secolo“. (2)

Dall’inizio del V secolo, in Sicilia, è ancora meno raro trovare edifici cristiani costruiti sui resti di templi pagani (come hanno documentato, tra i tanti altri, il Cajetani e Giuseppe Agnello), utilizzando sovente alcune parti di precedenti costruzioni siceliote o romane o costruendo le nuove strutture su quelle preesistenti; l’esigenza di utilizzare parti di edifici preesistenti o di riutilizzarne i siti si può datare e ricollegare temporalmente in Sicilia alla fine del V sec., come conseguenza al dissesto dell’impero romano, conseguentemente all’invasione dei Vandali e dei Goti ed alla sopravvenuta mancanza del supporto organizzativo-finanziario dell’Impero Romano: mancanza di risorse finanziarie mitigata in parte  della chiesa di destinare un quarto delle rendite ecclesiastiche alla costruzione di edifici, dalla fine del V sec.. La situazione in Sicilia, per quanto attiene alla disponibilità di risorse finanziarie destinate alla costruzione di edifici religiosi e pubblici, cambia per un breve periodo nella seconda metà del VI allorché Siracusa divenne la capitale dell’Impero d’Oriente dal 663 al 669. Sulle dinamiche finanziarie e costruttive di tale periodo è interessante l’analisi condotta dal Vera, che richiama G. Bejor: “In Sicilia numerosi fattori di crescita si palesano già nell’età di Costantino, si rafforzano nei decenni successivi fino al primo trentennio del V secolo e si esauriscono a metà del V secolo. E’ questo il momento in cui, con la fine dell’unità imperiale del Mediterraneo, il sistema annonario fondato da Augusto e riformato da Costantino crolla insieme all’organismo politico che l’aveva creato.” (3)

In Sicilia, comunque, parrebbe che la costruzione di luoghi di culto cristiano indicate con il termine di “Basiliche o Basilichette” abbia seguito, almeno secondo le osservazioni del Bottari, uno schema comune quasi identico in tutte le costruzioni di quel tipo censite. Ecco cosa afferma il Bottari nel 1950 : “Memorie più o meno attendibili di edifici cristiani in Sicilia si hanno a partire dai primi decenni del IV secolo, ma – per quello che fin qui è venuto alla luce – la documentazione monumentale non incomincia prima del V secolo, che è il periodo delle lettere decretali dei Papi  doveva essere riservato alle fabbriche; lettere che non dovettero restare senza efficacia se, alla distanza di un secolo, S. Gregorio Magno, di cui è ben noto l’interesse delle cose di Sicilia, non trova di meglio che confermarle  ampliandone la portata”. (4)

Dello sviluppo dell’architettura religiosa cristiana dl IV e V secolo d.C. si è occupata anche R. M. Bonacasa Carra che ne ha tracciato un profilo storico: “[…], purtroppo, nel novero degli edifici cristiani di culto, le chiese siciliane a noi note e sicuramente attribuibili al IV secolo si contano sulla punta delle dita. In testa vanno collocati il Martyrion di via dottor Consoli a Catania e la basilichetta di recente scoperta ad Agrigento sul versante occidentale del fiume Akragas. A cui si affianca la basilica di Sofiana nella sua prima fase, nella quale giustamente l’ Agnello ha riconosciuto un Martyrion. Seguono tre aule basilicali che documentano l’adozione, fin dalla metà del IV secolo, anche in Sicilia, del tipo di basilica a tre navate, e cioè la chiesa siracusana di San Pietro Intra Moenia, San Focà di Priolo e la notissima basilica di Salemi nella sua prima fase. […] nel passato, è stato fatto un uso improprio del termine «Bizantino» per definire l’età di quei monumenti che andavano collocati nell’arco dei secoli IV e V; il che ha contribuito, non poco, all’approssimazione ed alla genericità della cronologia dei monumenti cristiani di Sicilia che non ci consente, oggi, per dirla con S. L. Agnello, «la possibilità di tracciare un quadro organico e storicamente attendibile» di questa architettura.”. (5)

A questo elenco possiamo aggiungere la Basilica Paleocristiana scoperta negli anni ’50 del ‘900 a Catania in via S. Barbara ed i resti della Chiesa Paleocristiana scoperti alla fine degli anni ’50 del ‘900 a Catania sotto la Chiesa di S. Agata al Carcere. Un’altra chiesa attribuibile al modello di “Basilica a tre navate” è la chiesa di contrada Grammena, in territorio di Belpasso ( CT) riportata alla luce nel 2007 a cura della Sovrintendenza di Catania, di cui sotto lo schema planimetrico. (6)

Lo stesso schema [ tardo romanico] più ovvio e comune, tanto da diventare emblematico della chiesa romana, lo schema basilicale, si presenta, nel gruppo dei più antichi monumenti siciliani, in forme varie e complesse, e  talvolta insolite e addirittura – almeno per quel che so – uniche. Tale è il caso delle due chiesette di S. Pietro di Siracusa e di S. Focà presso Priolo, i cui avanzi di recente hanno avuto per l’acume del Pace una precisa interpretazione che ha pure consentito allo stesso studioso di chiarire il significato della curiosa planimetria – conservataci dallo stesso Inveges che ebbe a rilevarla prima della distruzione – della chiesetta palermitana di S. Maria La Pinta; e il sistema dovette avere una certa diffusione se, sulla traccia degli esempi indicati, il prof. Libertini ne ha potuto identificare un altro in una chiesetta presso Palagonia ( Pr. CT ). Il fatto insolito in queste basilichette – modellate per altro sullo schema assai comune dell’Aula Tripartita da Pilastri, con una Abside nella parte mediana della parte di occidente e spesso un Nartece nella parte anteriore – è dato dalle fincate, le quali, anziché da una parete continua, son costituite da un portico, o meglio da una serie di massicce arcate in alcuni casi sistemate nello spessore del muro ( S. Focà ), in altri su tozzi pilastri ( Palagonia ), in altri ancora su colonne ( S. Maria La Pinta )”.(7)

A questo gruppo di chiese potrebbero essere aggiunte le chiese di S. Pietro Intra Moenia e di S. Pietro ad Baias, per la presenza di archi lungo le fiancate del muro, come può evidenziarsi nel disegno sotto riportato nella figura sottostante. (8)

Figura 1 - Disegno della chiesa di San Pietro ad Baias

A questo gruppo di chiese caratterizzate dalla presenza di un “Portico Esterno” dovrebbe aggiungersi la chiesa che nella sua ultima fase venne titolata “Della Nunziatella”, i cui resti sono ancora oggi visibili nella contrada di Mezzocampo in territorio di Misterbianco. (9)

Figura 2 - Prospetti nord ed est della chiesa della Nunziatella in contrada Mezzocampo in territorio di Misterbianco

Sulle motivazioni che avrebbero determinato l’evoluzione architettonico-costruttiva delle chiese paleocristiane in Sicilia, l’Agnello così si pronuncia: “Si è detto da qualche studioso che le due chiese realizzino il tipo assai raro della Basilica a Portico, data la presenza degli archi tagliati nei muri esterni. Ma per San Pietro ciò risulta infondato, avuto riguardo alla struttura degli archi che attraversano solo una parte della compagine muraria, mentre l’opinione non appare conclusiva per San Focà, per insufficiente esplorazione. Si tratta, forse, di espediente suggerito da motivi diversi: il taglio delle arcatelle nello spessore murario, mentre conferiva un certo movimento decorativo alle masse, consentendo anche un maggiore sfruttamento ambientale, risolveva meglio il problema statico, temperando il potere delle spinte esercitato dalle volte a botte.”. (10)

L’affermazione dell’Agnello indurrebbe a considerare, come ipotesi, che la presenza nelle chiese paleocristiane di Sicilia di volte a botte potrebbe essere prudentemente utilizzato come indicatore parametro per collocare queste chiese in un arco temporale antecedente alle altre chiese caratterizzate da portici esterni ad arco.

                                     L’ubicazione della chiesa di Santa Maria della Pinta

La chiesa di Santa Maria della Pinta, la cui distruzione inizia nel 1648 e viene portata a termine nel 1649, (11) viene rasa al suolo per esigenze difensive della città di Palermo; sorgeva nella parte alta della Paleopolis Panormitana: “[…] nell’area dell’odierno Palazzo Reale, altrimenti detto dei Normanni, [ dove ] era probabilmente ubicata la sede del potere temporale. Si sa che vi sorgeva un sontuoso edificio chiamati in seguito Aula Viridis. Vicina a questa si ergeva la Chiesa di Santa Maria Dell’Annunziata, detta della Pinta, e quasi certamente iniziava anche la Ruga Coperta; sul modello bizantino ( Bellafiore 1966-1967), questo lungo porticato collegava la sede del potere temporale con la cattedrale del 6° secolo - eretta su una precedente, sorta sui resti d’un tempio, forse nel sec. 4° - costruita immediatamente oltre il muro che separava la città vecchia dalla Neapolis.” (12) Al fine di permettere una visualizzazione del contesto territoriale in cui doveva trovarsi la chiesa di Santa Maria Della Pinta, riportiamo di seguito la pianta topografica da lorenzo Fiocca nel 1905(13); la collocazione della chiesa della Pinta, secondo il Fiocca, si trova nel punto indicato dalla lettera “D” che, nella figura, è stato evidenziato dal quadrato nero che racchiude lo stesso. Tale collocazione, secondo Giuseppe Immé, sarebbe erronea in quanto il Fiocca: “[…] descrivendo  quanto riscontrato probabilmente durante gli scavi di Piazza Vittoria, concludeva che La Pinta (identificata erroneamente con un'altra chiesa vicina altomedievale), era verosimilmente il frutto dell'innesto di un edificio a stile basilicale cristiano su uno precedente pagano «del quale la chiesa suddetta conservava i caratteri della grandiosità». (14)

Figura 3 - Disegno del contesto territoriale in cui era collocata la chiesa di Santa Maria della Pinta, secondo Lorenzo Fiocca

La demolizione della chiesa di Santa Maria della Pinta ed i dati planimetrici della stessa

La distruzione della Chiesa di Santa Maria Della Pinta inizia: “[…] nel mese di novembre dell’istesso anno 1648. Il cardinal Trivultio col parere d’alcuni consiglieri di guerra per dar la sicurezza al Palazzo de’ Vicerè, fece cominciare i due baloardi a’ fianchi di mezzo giorno, e di tramontana; dove fece scolpire le sue armi, e suo nome, e con questa occasione per ampliar la piazza del Palazzo, furono demolite tutte le case, e chiese ch’eran vicine alla Porta Nova; e tra queste vi fu l’antichissima Chiesa di Santa Maria Della Pinta, […]. (15) Tale chiesa veniva così chiamata perché al suo interno vi era l’immagine di Maria Annunziata che: “[…] essendo stata depinta assai devota, fù chiamato, il Tempio di S. Maria Depinta, così dice un Privilegio del Conte Ruggiere, di concessione di luogo prope ecclesiam S. Mariae Depictae, & S. Barbariae, la qual chiesa fù pure fondata da’ greci.” (16) Dell’antichissima Chiesa di Santa Maria Depinta, oltre la pianta della stessa abbiamo una descrizione fattane dall’ Inveges: “La chiesa di S. Maria Della Pinta ( di Palermo) è una delle più belle chiese, ch’edificarono gli antichi greci né loro tempi in Sicilia. Questo antico tempio, secondo riferisce F. Simone ( ò Simonetto) di Leontino vescovo di Siracusa: […] fu edificato, e consacrato insieme dall’eroe Belisario Capitano di Giustiniano Imp. Alla gloriosa Madre di Dio V. per la vittoria in Palermo contro à Vandali ( legge Goti) nell’an. Del mondo 4516. E del redentore 545 ( legge 535) […] à gloria della suprema Regina del Cielo: la cui immagine essendo stata depinta assai devota; fu chiamato il tempio di S. Maria Depinta. […]. Hor la nostra antichissima chiesa di S. Maria Della Pinta: era fabbricata nel gran piano del palazzo viceregio a pié del novo suo baluardo settentrionale. La figura del sito era riquadrata; poiché in ogni lato havea circa 30. Passi di distanza. La frontiera del suo muro settentrionale riguardava la bella strada del Cassaro, ove havea tre porte: la maggiore di mezo, che dava l’ingresso alla nave, e le due minori, che aprivan il passo alle due ali: & alle tre porte s’ascendeva per 7. Scalini, posti parti dentro, e parte fuori: poiché il sito della chiesa era rilevato sopra il Cassaro circa 7. Palmi. Il suo modello non era ordinario; cioè la nave, e le ali non erano in giro ricinte di muraglie, come nelle chiese latine: ma all’uso dei Tempij Gentilij; eran tutte al cielo aperte: & architettate di colonne di pietre in più pezzi, e di tetto di legname fatto in forma di carina di nave. La lunghezza della nave, e delle ali era uguale, e cominciava dal Cassaro, o’ dal muro, e porte settentrionali; sopra cui da Levante a’ Ponente s’attraversava la lunghezza del titolo di circa 30 passi. Onde la chiesa tutta alla mia età coll’ordinanza delle sue colonne figurava un T. latino maiuscolo; ch’era l’antico Tau, e la vera figura, della croce. La nave e’l titolo cavea ugual larghezza di 7 passi, e mezo circa; ma la lunghezza disuguale: poiché, la lunghezza della navea have 6. Colonne, e fra queste 5. Passi. Ma la lunghezza del titolo era dal muro di Ponente a’ quel di Levante eran 5. Altri archi; quel di mezo alla larghezza della nave, li dui ultimi grandissimi, e li 2. Di mezo alla larghezza delle ali. Et ogni ala al pari della nave havea 6. Colonne, e 5 archi: ma di larghezza circa 4 passi, e mezo. Al fianco però  delle colonne d’ogni ala era un ampio e discoperto cimiterio, o’ giardino: li quali venivan in giro da un’alta muraglia di 24. Pal. In circa rinterrati. Nel solo titolo eran gl’altari. I quali eran tre: tutti appoggiati alle mura: cioè l’altar di mezo, era appoggiato al muro meridionale, e riguardava la porta maggiore: ove era un bel quadro della Nuntiata: al corno del vangelo, & al muro orientale del titolo era l’altare della Candelora, o di S. Maria delle Gratie: & a’ quello dell’epistola,o’ alla muraglia occidentale era l’immagine devotissima, & antichissima del S. Crocifisso all’istesso muro dipinta: che hoggi e transportata alla chiesa dell’Itria, insieme cogli altri due ricordati quadri. Dietro il titolo, e del muro meridionale della chiesa eran fabbricate, e la sagristia, e le stanze del cappellano. Ma la nave, e le ali di questa chiesa nei tempi furon più lunghe di quelle che alla mia età si vedevano; poiché Don Garzia de Toledo per far il Cassaro ne ruinò quella parte settentrionale; che la dirittura della strada gl’impediva”. (17)

Figura 4 - Pianta della chiesa di S. Maria della Pinta, pubblicata da Agostino Inveges

La ricostruzione virtuale della chiesa della Pinta

Sulla scorta dei dati architettonici e metrici relativi alla chiesa di S. Maria della Pinta, forniti dall’Inveges, sopra riportati, abbiamo chiesto all’architetto Santi Gulisano, di Motta Santa Anastasia, di sviluppare dei disegni architettonici, computerizzati, per realizzare una ricostruzione virtuale della medesima chiesa che fosse compatibile con i dati pubblicati da Agostino Inveges. I risultati della elaborazione dei dati, che ci forniscono una possibile immagine della chiesa di S. Maria della Pinta, sono osservabili nei quattro sottostanti disegni.

Figura 5 - ipotesi ricostruttiva, elaborata al computer, in sezione, della chiesa di S. Maria della Pinta – elaborazione dell’Architetto Santi Gulisano

Figura 6 - Disegno completo della chiesa della Pinta - elaborazione dell'Architetto Santi Gulisano

Figura 7 - ipotesi ricostruttiva, elaborata al computer, della chiesa di S. Maria della Pinta – elaborazione dell’Architetto Santi Gulisano

Figura 8 - Pianta della chiesa della Pinta elaborata dall'architetto Santi Gulisano utilizzando i dati pubblicati dall'Inveges

La Chiesa di Santa Maria della Pinta, a Palermo, costituiva forse l’esempio siciliano più significativo delle cosiddette “ Basiliche a Portico Esterno”, per cui secondo l’Agnello: “Il tipo avrebbe però trovato la sua attuazione più significativa nella chiesa palermitana della Pinta, oggi scomparsa, la cui struttura, se dobbiamo prestar fede ad un antico e sommario documento grafico, comprendeva tre navate, divise da pilastri, e presbiterio a T. Non esistevano muri di cinta e l’edifizio doveva dare un po l’idea di un mercato coperto.”. (18)

Bibliografia

  1. De Miro, in F. P. Rizzo – Storia della Sicilia paleocristiana: revisione e prospettive – in Kokalos XXX-XXXI, 1984-1985 – pp. 259-260.
  2. P. Rizzo – Storia della Sicilia paleocristiana: revisione e prospettive – in Kokalos XXX-XXXI, 1984-1985 – pp. 259-260.
  3. Domenico Vera – Fra Egitto e Africa […] – Kokalos XLIII-XLIV, 1997-1998, tomo I,1, p. 58.
  4. Pace – Arte e civiltà della Sicilia antica – IV, p. 314 e sgg. – Roma 1949
  5. M. Bonacasa Carra – Architettura Religiosa Cristiana nella Sicilia del IV secolo – spetti e problemi – Kokalos nn. 28-29, 1982-1983, pp. 410-411.
  6. Elisa Bonacini – Maria Turco, con appendice di Lucia Arcifa – L’insediamento di contrada Grammena a Valcorrente tra tardo antico e alto medio evo – Fasti Online - Roma, p. 21.
  7. Biagio Pace – Arte e civiltà della Sicilia antica – Roma 1949 - vol. IV, p. 314.
  8. Agnello Giuseppe – L’architettura Bizantina in Sicilia – La Nova Italia – Firenze 1952 – p. 85.
  9. Santi Maria Randazzo – Ipotesi di identificazione della prima chiesa di Misterbianco sorta dopo l’eruzione del 1669 – Rivista “ Incontri”, n. 16 luglio-settembre 2016, p. 46.
  10. Agnello Giuseppe – L’architettura Bizantina in Sicilia – La Nova Italia – Firenze 1952 – p. 295.
  11. Gioacchino di Marzo – Biblioteca Storia e Letteraria di Sicilia – vol. XXII, I della terza serie – Luigi Pedone Lauriel – Palermo MDCCCLXXVI – pp. 15-16.
  12. Zoric – in Enciclopedia Dell’Arte Medievale – Treccani Ed. – 1998.
  13. Lorenzo Fiocca – La chiesa di Santa Maria dell’Itria o della Pinta – in “ Rivista di Storia dell’Arte Medievale e Moderna e d’Arte Decorativa”, t. III, Roma 1905 – p. 297.
  14. Giuseppe Immé – Schede topografiche per l’età romana e alto medievale nel siracusano – Tesi di Dottorato in Filosofia e Storia delle Idee – Catania 2011 – p. 40.
  15. Vincenzo Auria – Historia cronologica delle Signori Vicerè di Sicilia – per Pietro Coppola Stamp. Cam. Della SS. Inqu. e Illustr. Senato – Palermo 1697 – p. 114 – in Google Libri.
  16. Pietro Antonio Tornamira e Gotto – Idea congetturale della vita di S. Rosalia – per il Bua, e Camagna – in Palermo M.DC.LXVIII – p. 137.
  17. Agostino Inveges – Annali della felice città di Palermo – Palermo Sacro parte seconda degli annali di D. Agostino Inveges – nella Typographia di Pietro Dell’Isola – Impressor Camerale – Palermo MDCL – pp. 424-425.
  18. Agnello Giuseppe – L’architettura …,cit. – p. 295.

Critolao il più famoso sarto di Sicilia

Gaius Licinius Verres ( Verre) venne nominato Pretore di Sicilia nel 73 a.C. ed usufruendo di una imprevista proroga del suo mandato dovuta ...