mercoledì 27 gennaio 2021

La chiesa della Nunziatella primo insediamento di Misterbianco

Il sito di contrada Nunziatella ricorre spessissimo nelle cronache storiche che vi datano al III secolo d.C. la presenza di un Pago dedicato a Bacco per la diffusa coltivazione di vitigni in quella zona, ed il cui primo insediamento viene ricondotto ad un Pakis greco all’epoca in cui il sito apparteneva al territorio di Aitna-Inessa l’odierna Motta Santa Anastasia, e di cui abbiamo dato notizia in altri lavori. in epoca successiva la chiesa di San Giovanni Gerosolimitano prende il nome di chiesa di “Santa Maria della Nunciata”. In quella stessa contrada di Mezzocampo, nel XVII secolo venne ritrovata una stele (cippo di confine romano) che, secondo alcuni storici, segnava i confini tra Catania e l’antica città di Etna-Inessa, o, nel dubbio sollevato dallo stesso Carrera, tra il territorio di Catina e la parte del territorio di Catina annesso all’Ager Publicus romano e la cui pietra di confine si trova, oggi, nel cortile del Castello Ursino di Catania.

Davanti ai resti della Chiesa della Nunziatella il Roccaforte nel XVIII secolo trovò vari reperti greci e romani, tra cui il famoso Cippo Consularis oggi collocato nel cortile interno del Castello Ursino di Catania. Da una notizia pubblicata sulla rivista Siculorum Gymnasium, anno 1961, vol. XIV, p. 194, apprendiamo che lo stesso cippo: “Al fine di segnare i confini della proprietà fondiaria di un certo Vibio Severo, coincidente con l’attuale trazzera contigua alla chiesetta di S. Maria Dell’Annuziata, oggi rovinata, a circa Km. Quattro da Catania sulla via per Misterbianco, all’uopo sin utilizzò un precedente cippo [---].”
Il sito della chiesa della Nunziatella in contrada Mezzocampo, oggi appartenente al territorio di Misterbianco è stata sempre ed univocamente individuata dalle decine di storici che hanno descritto vicende legate a quei luoghi per l’essere quel luogo associato al Monte Cardillo, venendo collocata alle sue falde; in particolare gli storici, nel riferire episodi legati a tale sito, hanno messo sempre in evidenza come tra il XII ed il XV secolo, la dove oggi sono i resti della chiesa della Nunziatella, fosse presente la chiesa di San Giovanni Gerosolimitano dove nel giugno del 1337 spirò il re di Sicilia Federico III. Attorno alla allora funzionante chiesa della Nunziatella nel 1669, dopo la tremenda eruzione che seppellì monasteri, chiese, contrade e casali si insediarono quella parte di sfollati a causa dell’eruzione che poi fondarono successivamente Misterbianco. Delle prime fasi di vita di quegli sfollati attorno alla chiesa della Nunziatella, abbiamo avuto la possibilità di avere notizie certe grazie alla cronaca redatta da un eminentissimo e documentatissimo religioso misterbianchese, il sacerdote Antonino Bruno Licciardello di cui riportiamo integralmente il testo. (1) “La più parte [delle famiglie] si posero alle falde del monte Cardillo, avendo Mezzo Campo dalla parte nord, e tutti erano spettatori infelici di quella lava, che a guisa dell’onde d’un mar tempestoso ruotando per quelle contrade proseguiva a distruggere le loro ubertose possessioni. Intanto eglino divisi in tre colonie, vedendo interamente distrutta la loro patria con alquante terre intorno, e che il fuoco non cessava dal devastare i loro terreni; siccome nei flagelli di Dio è l’unico conforto la religione, per organo del clero e dei magistrati dirigono preghiere all’illustrissimo Monsignor Michelangelo Bonadies Vescovo allora di Catania, affinché accordi loro di potere amministrare i SS. Sacramenti in una piccola cappella della SS. Annunziata sin dall’ora forse nel territorio di Misterbianco all’est di Mezzo Campo. (Questa cappella fu rizzata pria del fuoco sotto il titolo di Maria SS. Annunziata, che dicevano con termine diminuitivo Nunziatella, il quale tutt’ora si conserva, e quella contrada dicesi Nunziatella). Il Vescovo accordò questa grazia, ed il 29 aprile di detto anno 1669 fra gli altri Sacramenti che si amministrarono si celebrò uno sponsalizio dal che si vede quanto fosse pura la loro fede, e rilevasi anche la sollecitudine con cui conservarono il sacro deposito dei vari oggetti, che portarono dalle famiglie sottratte, e la gelosa cura con cui li custodirono.( I contraenti sposi furono Francesco Santagati figlio di Andrea e di Maria Santonocito vedova di Matteo Scuderi e Vincenza Surito figlia di Erasimo e di Agata Leucatia, spsati dal Cappellano-Sacerdote Domenico Scordo, come si rileva dal libro de’ matrimoni dell’anno 1669). Oh siano eternamenti benedetti per la viva fede, che mostrarono dopo l’incendio dell’Etna, quando ancora non aveano tetti in cui si avessero potuto ricoverare, ad altro non pensarono che alla sola religione! Ma voglia il cielo che noi posteri, e loro tardi nepoti calchiamo le loro pedate e seguiamo le loro massime, custodendo pura e incontaminata la cattolica fede, unico sostegno di ogni buona società; giacchè senza di essa non vi può essere alcun vero progresso. […] Oggi è demolita e ciò da circa 15 anni [dal 1853] in qua. I nostri antichi vi solennizzavano la festività di Maria, ma nato un disgusto coi Catanesi sospesero i Misterbianchesi detta solennità dietro un grosso attacco co’ medesimi.”

Bibliografia

Antonino Bruno Licciardello – Viaggio agli avanzi rimasti dell’antica comune di Misterbianco – Stamperia Bellini della vedova Malerba Cosentino – Catania 1868 – pp. 27-29

martedì 26 gennaio 2021

Il culto del dio Fidius: dal Quirinale al porto saraceno di Catania

Del culto di questo dio ne parlano anticamente Livio, Sesto Pompeo, Varrone, Catone, Dionisio Halicarnasseo, Ovidio, Plauto, Virgilio, Fulgenzio il Grammatico; a Roma vi erano due templi dedicati al dio Fidius; uno era situato sul colle del Quirinale ed uno nell’isola Tiberina. Rispetto al culto del dio Fidius dice Dominique Brighel:

“Georges Dumezil ha sovente messo in relazione Mitra e Dius Fidius: ma, se è indubitabilmente una divinità di tipo mitriaco, Dius Fidius non è che una figura minore, che non è per nulla paragonabile a quella di Jupiter, e sarebbe errato affermare che Jupiter, in rapporto a Dius Fidius, rappresenterebbe il solo aspetto Varuniano della prima funzione. In realtà, Jupiter ricomprende anche ciò che rappresenta Dius Fidius: è il Dio del Giuramento, della Fides. Infatti, lo Jupiter latino ribadisce nella sua Persona tratti Varuniani accanto a tratti Mitriaci, altrimenti detto, la distinzione Varuna/Mitra non è più pertinente per analizzare questa figura essenziale dell’universo religioso dei romani.” (1)

Sul culto del Dio Fidius a Roma parla Enrico Montanari:

“Tuttavia, nel caso romano, una connessione funzionale con la Fides non riguarda il nostro personaggio in quanto “Scevola” (il monco), ma anche in quanto Mucio. Un dato sembra deporre in favore di una correlazione, probabilmente arcaica, dei Mucii con Dius Fidius, ossia con la personificazione divina della Sovranità Giuridica” a Roma. Quando Varrone descrive le Quattuor Regiones di Roma in cui si svolgeva la Processione degli Argei, allorchè tratta la terza (la collina) trascrivendo ex Argeorum Sacrificiis, osserva che uno dei colli sui quali esisteva un Sacrario degli Argei, si chiamava Collis Mucialis e su di esso sorgeva il tempio di Dius Fidius. Questa correlazione Mucii-Dius Fidius ci sembra caratterizzante anche perché, fra i cinque colli della Regio Collina, quello che ospitava i Tempi del Dius Fidius era il solo che non fosse denominante da un dio.” (2)

Sui poteri del dio Fidius parla Marco Abbruzzesi:

“ […] I Sacerdotes Bidentalium esercitavano funzioni connesse con il fulmine ed in effetti Semo Sancus è ricordato come una divinità che aveva il potere di scagliare fulmini [ quelli che cadevano di giorno], inoltre, il Bidental era il luogo sacro dove cadeva un fulmine o dove un fulmine uccideva un uomo. Infine, dall’area della chiesa di S. Silvestro fu rinvenuta un’epigrafe con dedica a Juppiter Fulgurator, forse da associare a questo culto.” (3)

Ed ancora:

“In questa fase, il tempio di Semo Sancus Dius Fidius, secondo la notizia di Dionigi di Alicarnasso, dopo la realizzazione di Tarquinio il Superbo [Cecchi 2009, p. 45], fu Consecratus nel 466 a.C. dal console Spurio Postumio Albino come starebbe anche ad indicare un’epigrafe con il nome di quest’ultimo in seguito ad un Senaconsulto.” (4)

“Inoltre nella fase mediorepubblicana, è attestato un intervento nel tempio di Semo Sancus [Palombi 1966, pp. 37 ss]: furono, infatti, collocati nel 329 a.C. all’interno dell’edificio, degli Orbes Aenei ricavati dai beni di Vitruvius Vaccus posti in vendita dopo la sua condanna a morte.” (5)

Sul rapporto tra il dio Fidius e le altre divinità parla Marco Galdi:

“I Semones erano un’altra classe di divinità, il cui significato sfuggiva agli stessi Romani. Varrone li considerava come Semidei. Il Grammatico Fulgenzio, interpretando erroneamente il vocabolario, scriveva: ‘ Semones Dii fuerunt dicti, quos nec caelo adscribebant ob meriti paupertatem, sicut sunt Priapus, Hippona, Vertumnus, nec terrenos eos deputare volebant pro gratiae veneratione.’ Bizzarria etimologica cfr. semi-) di nessun valore. Tra i Semones troviamo ricordati la Salus Semonia e Semo Sancus Dius Fidius che dipende in qualche modo da Dius, cioè da una divinità sovrana, poi congiunta o confusa con Iuppiter), e forse la Dea Dia degli Arvali.” (6)  

Ed ancora:

“Abbiamo già avuto occasione di ricordare Iuppiter Elicius e Iuppiter Fulguro Fulgurator. A proposito di Iuppiter Elicius bisogna aggiungere che il luogo colpito dal fulmine (fulgiritus) era considerato Religiosus, ossia sacro, quod eum Deus sibi vindicasse videtur. Aveva luogo allora una Publica Procuratio, o cerimonia fatta per allontanare il temuto influsso di Prodigia: i Pontefici circondavano di un Puteal il luogo consacrato dalla presenza del Dio, e un Bidental, ossia il sacrificio di un agnello, poneva fine alla cerimonia del Fulmen Conditum. Il Recinto o Puteal, ond’era circondato il luogo colpito dal fulmine, serviva ad impedire che venisse calpestato. Iuppiter era altresì custode del diritto e del giuramento. La formula Medius-Fidius (Me Dius Fidius), che assunse anche valore di scongiuro, sta a provare lo schietto stampo romano della divinità. Sotto la protezione di Dius Fidius era posto il santuario della Fedeltà (Fides) presso il Sacello di Iuppiter Lapis sul colle palatino.” (7)  

 La Triade Romana Primitiva [ Iuppiter Grabovius – Mars Grabovius – Vosionus Grabovius ] assegna alla prima funzione Iuppiter ( cone Varuna e Odinn) e Dius Fidius ( come Mitra e Tyr); alla seconda Mars […]; alla terza Quirinus […].” (8) 

Del Dio Fidio parla ancora Vincenzo Cartari Reggiano nel suo libro Imagini De Gli Dei Antichi:

“ […] del Dio Fidio dé Romani, perché come quello [ Giove Horcio ] guardava il giuramento,che fosse vero, & giusto, così questo era sopra al servar la fede, & per questo era dorato, % trovasi fra le cose antiche di Roma fatto in questa guisa Egli è un pezzo di marmo intagliato a modo di fenestra, ove sono scolpite tre figure dal mezo in su, delle quali l’una, che è dalla banda destra, è di huomo in habito pacifico, & ha lettere a canto, che dicono HONOR: l’altra dalla sinistra parte è di donna del nel medesimo habito, con una corona di Lauro in capo, & con lettere, che dicono VERITAS. Queste due figure si danno la mano destra l’un con l‘altra, tra le quali è la terza del fanciullo, che ha la faccia bella, & honesta, cui sono intagliate sopra il capo due parole DIUS FIDIUS.” (9) Nella immagine sottostante la tavola di marmo di cui parla V. Cartari Reggiano.

Publio Vittore trattando delle religioni a Roma parla del tempio di questo dio, che secondo lui, fu edificato sul colle Quirinale da Marcello, e dell’origine di questo culto a Roma:

“Divo Fidio – Santo & Fidio erano Dei dei Sabini, i quali essi venendo a stare a Roma, portarono da casa loro insieme con tutti i loro arnesi sul monte Quirinale. & Dicevano che in parole questa deità era in tre Deità: ma in tutti era una sola Deità. Edificato per tanto un tempio solo a essi tre: si appellavano con un solo nome di Santo.” (10)

A Roma vi era forse un altro santuario o altare (ara) dedicato a Semo Sancus sull'Isola del Tevere, vicino al tempio di Iupiter Iurarius, oltre quello situato sul colle Quirinale. Questo altare recava l'iscrizione vista e travisata da S. Giustino (Semoni Sanco Deo, letta come: Simoni Deo Sancto), ed è stato scoperto nell'isola Tiberina nel mese di luglio del 1574. L’altare si è conservato nella Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani, primo scomparto. Lanciani avanza l'ipotesi che, mentre il santuario sul Quirinale era di origine sabina, quello sull'isola Tiberina era latino.

Sulla funzione di “Archivio” del tempio del dio Fidio posto sul colle del Quirinale dei documenti inerenti i trattati internazionali parla Mela Albana:

“Uno fra i più antichi trattati di cui si ha notizia, quello stipulato da Tarquinio con Gabii iscritto su uno scudo di legno coperto dal cuoio del bue sacrificato per il giuramento, si trovava nel tempio di Dius Fidius, cioè Sancus, sul Quirinale. Non appaiono casuali né l’uso del materiale, in verità unico, su cui sono in-cise le formule, né la scelta del luogo dove è conservato il prezioso documento:il primo era dettato da precise circostanze rituali, la seconda dalla funzione di Dius Fidius che, come Iuppiter, presiedeva ai giuramenti, e quindi ai foedera.” (11)

IL CULTO ED IL TEMPIO DEL DIO FIDIUS A CATANIA

La presenza del culto del dio Fidio a Catania e l’esistenza di un tempio, con specifiche caratteristiche architettoniche di forma triangolare i cui resti erano esistenti fino al XVI secolo,  a lui dedicato nell’area che, oggi, è prospiciente il porto di Catania, pongono più di un interrogativo sulla presenza di questo culto religioso a Catania, attribuibile inizialmente, secondo alcuni autori, ai Siculi tenendo conto del loro arrivo in Sicilia nella data che viene dai più ritenuta la più attendibile: il 1050 a.C..

Della presenza del tempio e del culto del dio Fidio a Catania parla Vincenzo Bondice:

“Fu venerato questo Dio, che presiedeva ai Giuramenti della Bona Fede. Catania sia che lo abbia ricevuto dai Romani, sia che lo abbia conosciuto dai Calcidesi suoi fondatori, egli è certo che un tempio di Fidio eresse, secondo Grossi e Carrera, nel luogo vicino al Porto Saraceno, detto dell’Arcora, dai vicini acquedotti arcuati come osserva Amico. Era questo tempio grandioso anzi massimo chiamato dall’Arcangelo, di forma triangolare. Esistono molti avanzi sotterranei, il resto fu rovesciato al suolo per ordine di Govanni Vega Viceré di Sicilia nella occasione di costruirsi le mura attorno la città. Ci rapporta Fazello che nel 1554 scavandosi il lido del Porto Saraceno presso questo tempio, fu rinvenuta una lapide marmorea dedicata al Dio Fidio, cui i Greci chiamavano Trinomio, perché con tre nomi appellato, e ci assicura, che questa lapide, dove era anche sculta l’immagine di questo dio, fu trasportata a Palermo nel palagio di Alfonzo Roys, che con massimo piacere in quei tempi ammiravasi dagli intendenti di archeologia.” (12)

Del tempio del Dio Fidio a Catania parla il Carrera, che al proposito così:

“Trattar dovendosi del tempio di Fidio Dio, ch’hebbe tre nomi, riverito da’ Catanesi farò principio dall’autorità del Fazello, che in tal modo si legge. Nuper anno salutis 1554. Mense maio apud Catana in sodiendo littore apud Portum cognomento Saracenum, in tabula marmorea quadripedati Fidius apud Graecos trinomius veteris superstizionis deus tribus his nominis appellatur Semipater, Fidius, & Sanctus, & his alijs Honor, Veritas, & Amor sub tribus imaginibus sculptus fuit repertus. Honor scilicet, & Veritas manus dexteras iugentes, ille aperto capite, haec pallio vittata, & Amor medius adolescens utrumque complectens. Huius festum nonis iunij Romani celebrabant, per hunc iurabant, seque obligabant dicentes, Medius Fidius, de quo in sexto fastorum libro fu sé scribt Ovidius, & Plautus in Asinaria.”. I versi d’Ovidio son questi.

Quaerebam nonas Sancto, Fidio ne referrem,

An tibi Semipater, tunc mihi Sanctus ait.

Cuicumque ex illis dederis. Ego munus habebo;

Nomina terna fero; sic voluere Cures

Il luogo di Plauto è tale. Nam Fidius Deus est, qui fidei praest, dum dicitur per Deus Credis, iurato mihi. Il medesimo Fazello nell’additione dell’opera facendo ricordo dell’istessa statua del Dio Fidio trasportata in Palermo così dice. Fidius is marmoreus Panormum postea exportatus in aedibus Alphonsi Roys Siciliae Prothonotarij, & totius antiquitatis studiosissimi maxima cum voluptate ab erudis hodie cernitur. L’Arcangelo, nella cui fanciullezza fu trovato il marmo, narra che nel lito del Porto Saracino era una torre, tempio triangolare antichissimo; questo edificio da Govanni  di Vega Viceré di Sicilia fu spianato per fondarvi la nuova muraglia, la qual’hoggi si vede, A’ fortezza della città, della qual torre, o’ Tempio ( ei dice) infino al presente ne son rimaste grandissime moli di pietre buttate in mare presso la muraglia. Dir si può, che nella torre vi stesse il Tempio, o’ Sacrario del Dio Fidio; tal fù quel di Pallade nel castello di Troia, del quale se ne ricorda Virgilio. Ma ne sopra citati versi d’Ovidio i testi più corretti in vece di Sancto, e Semipater hanno Sanco, e Semicaper. Di qua ritruovo Hercole Sanco, e Fidio Semone Sanco; dicesi ancor Sango dal dio dé Sabini; l’asserisce il Rhodigino a’ fede di Dionisio di Halicarnasseo, nel cui testo, se non è scorretto, si legge Samo. I Greci lo dicon Pistio, e dinota l’istesso, che Fidio, ma la prolazione delle parole Medius Fidius è quasi la forma del giuramento, del che mi riserbo a’ dirne altro nel 3. Libro.” (13)

Del tempio del dio Fidio parla anche Vito Amico, riportando quanto scrive il Fazello:

Scrive il Fazello che nel mese di maggio dell’anno 1554, mentre si stava scavando nel Porto Saraceno, in prossimità della spiaggia, fu rinvenuta una tavola marmorea, della dimensione di quattro piedi, votiva dei devoti dell’antica superstizione verso gli dei, ovvero idoli, dov’erano scolpite tre immagini ornate da questa iscrizione: Amore, Onore, Verità. L’Onore e la Verità si tenevano per mano, il primo con il capo scoperto e l’altra cinta da pudica veste. L’Amore, posto al centro dei due, si abbracciava ad entrambi. Sul ritrovamento di questa tavola marmorea ci siamo soffermati altrove e fra le tante interpretazioni abbiamo a torto criticata quella di Giorgio Gualterio.” (14)

Del dio Fidio parla anche Giovanni Florio Castelli:

“Tempio di Fidio – Icone di Santa Maria la Lettera – Fidio Dio della Fede; questo Dio aveva similmente culto in Catania. Il tempio di forma triangolare era in quel sito di città, che anticamente si chiamava dell’Arcora. Dice Arcangelo che era un Tempio Grandioso. Il Viceré di Sicilia Giovanni Vega lo fece atterrare, onde costruirsi le mura della città. Ciò avvenne nell’anno 1552. Era il tempio ove al presente si vede sulle sue mura eretto il Palazzo Vescovile a levante. Vi fu eretta una bellissima Icone consacrata a Maria Santissima la Lettera. Oggi è stata decorata ed abbellita con fregiate pietre calcaree e attira la pubblica venerazione e devozione. Museo – Fazello scrive che facendosi dei scavi ove era il tempio fu rinvenuta una lapide marmorea dedicata al Dio Fidio con la immagine di lui sculta. Fu trasferita a Palermo nel palagio del sig. Alfonzo Roys Antiquario Generale di Sicilia.” (15)

Ed ancora sul dio Fidio scrive Mariano Foti:

“Scendendo per via Porticello, troviamo a destra, a oriente del Palazzo Arcivescovile, un Tempietto dedicato alla ‘ Madonna della Lettera’. L’Effige Mariana che vi si venera si deve al delicato pennello del Sacerdote Francesco Gramignani che la dipinse ad olio nel 1764. Dove ora sorge questa sacra Icone, c’era anticamente il tempio di Fidio, fatto abbattere dal Viceré Vega nel 1552 proprio in vista della edificazione delle mura cittadine. Lo conferma anche un reperto archeologico. Infatti, da scavi effettuati sul posto nel maggio del 1554, venne alla luce, come scrive il Fazello, ‘ Una tavola di marmo larga circa quattro piedi, su cui erano effiggiati in altorilievo l’Onore, la Verità e l’Amore: era l’avanzo di un’edicola al Dio Fidio, divinità greco-italica, che presiedeva ai giuramenti’. Quel culto avveniva al Porticello perché i partenti non dimenticassero le promesse fatte. Dius Fidius era un appellativo di […] (Zeus Pistios) cui era attribuita la tutela della fedeltà; era anche identificato con Semo Sancus divinità umbro-sabina.” (16)

Le mura esterne del palazzo arcivescovile di Catania nelle quali è incastonata l'edicola della Madonna della Lettera, nel luogo dove sorgeva il tempio del dio Fidio

Primo piano dell'edicola della Madonna della Lettera

Il quadro raffigurante la Madonna della Lettera

LA SPECIFICA CARATTERISTICA ARCHITETTONICA TRIANGOLARE: ELEMENTO DISTINTIVO DEL TEMPIO DEL DIO FIDIO?

Una costante architettonica che viene riportata nei lavori in cui si parla di templi del dio Fidio, è la forma triangolare che avevano tali costruzioni; questa caratteristica induce considerare con attenzione le notizie che parlano di costruzioni triangolari, potenzialmente collegabili ad un tempio del dio Fidio. Di una di tali costruzione esistenti sul Monte Cardillo, oggi in territorio di Misterbianco, parla Ignazio Paternò Principe di Biscari:

“Nell’uscire dalla Terra di Misterbianco sulla destra della strada, che porta in Catania, si vede un Monte di acuta figura, volgarmente chiamato Monte Cardillo. Se il Viaggiatore vorrà durar la fatica di farne la salita, troverà sulla cima di esso gli avanzi di edificio triangolare, costrutto di grosse pietre quadrate, oggi nella maggior parte levate; di cui non restano, che circa 12. Palmi di elevazione. Ogni facciata è di 30 palmi, ed ha due angoli acuti, ed il terzo tagliato. Non si osserva in questo residuo vestigio alcuno di porta, che forse fu tant’alta, che v’abbisognava una scala posticcia. Faccia il Viaggiatore le sue riflessioni, a quale uso avesse potuto essere impiegato questo edificio; e nello stesso tempo goderà la più superba veduta, scoprendosi gran tratto del mediterraneo dell’Isola.” (17) 

Di una costruzione molto antica avente le stesse caratteristiche architettoniche triangolari parlano Vincenzo Epifanio e Alberto Gulli, di un rinvenimento a Lentini, avvenuto il 30 novembre 1542, documentato da un codice che tratta della cronaca siciliana del XVI secolo:

 In la chitati di Lentini roynau grandissima quantitati di casi et palacsi, premaxime in lo quarteri di lo Tiruni et di Castellonovo; dictu castellu quasi tuctu roynao. Foro morti in numero di persuni septanta et chuj. In lo dicto quarteri di lo Tiruni undi e lu castellu roynau parti, et premaxime una turri triangolari maxima; la mitati roynau tucta et la mitati restao abbuccata: la quali si dichia essiri antiquissima et edificata innanti Ruma.” (18)

 I resti della costruzione triangolare sul monte Cardillo di cui parla il Biscari in un disegno di Houel

BIBLIOGRAFIA

  1. Dominique Briquel – Sul buon uso del comparativismo indoeuropeo – in Esploratori del pensiero umano – Georges Dumezil e Mircea Eliade – a cura di Julien Ries e Natale Spineto – Jaca Book – Milano 2000 – p. 42.
  2. Enrico Montanari – Georges Dumezil e la religione romanaarcaica – in Esploratori del pensiero umano Georges Dumezil e Mircea Eliade – a cura di Julien Ries e Natale Spineto Jaca Book – Milano 2000 – p. 91.
  3. Marco Abbruzzesi – La ricostruzione dell’assetto topografico della VI Regio Augustea di Roma dal periodo repubblicano all’età tardoantica  tesi di dottorato di ricerca in storia antica, relatrice Prof.ssa Francesca Generini – Università di Bologna 2013 p. 47.
  4. Marco Abbruzzesi, cit. p. 49.
  5. Marco Abbruzzesi, cit. , p.56.
  6. Marco Galdi – La religione dei Romani – in Storia delle religioni – quinta edizione riveduta a cura di Giuseppe Castellani S.I. – U.T.E.T. – Torino 1962 vol. II – pp. 596-597.
  7. Marco Galdi, cit., pp. 610-611.
  8. Marco Galdi, cit., p.669.
  9. Vincenzo Cartari Reggiano – Imagini De Gli Dei Delli Antichi – Padova 1615 – p. 143.
  10. Publio Vittore – Delle Religioni & Dé Luoghi di Roma.
  11. Mela Albana – I luoghi della memoria a Roma: Templi e Archivi – Annali della Facoltà di Scienze della Formazione Un. CT. – pp. 16-17.
  12. Vincenzo Bondice – Gli antichi monumenti di Catania – Estratto dal giornale “ Il mondo del culto 1859 e 1860” – Palermo 1860 – pp. 21-22.
  13. Pietro Carrera – Delle Memorie Historiche della Città di Catania – Catania MDCXXXIX – vol. primo, pp. 49-50.
  14. Vito Amico – Catana Illustrata – traduzione di Vincenzo Di Maria – Carmelo Tringale Ed. – Catania 1990 – vol. II, pp. 281-282.
  15. Giovanni Florio Castelli – memorie storiche intorno la distruzione dei vetusti monumenti in Catania – Catania 1866 – pp. 17-18.
  16. Mariano Foti – Civitas – Scuola Salesiana del Libro – Catania 1974 – pp. 187-188.
  17. Ignazio Paternò Principe di Biscari – Viaggio per tutte le antichità della Sicilia – Nella Stamperia Simoniana – Napoli MDCCLXXXI – pp. 61-62.
  18. Vincenzo Epifanio- Alberto Gulli – Cronaca Siciliana del secolo XVI – Dal Codice della Biblioteca Comunale di Catania – Palermo 1902, p. 165.

Bibliografia Generale

  1. Mario Attilio Levi - Ercole e Semo Sanco (Properzio, IV, 9,70 ss.) - Napoli - Macchiaroli - 1989 –
  2. - E. Jannettaz - Étude sur Semo Sanctus Didius - Parigi - 1885 –
  3. - G. Wissowa in Roschers Lexicon - Semo Sancus - Religion und Kultus der RömerMunich - 1912 –
  4. - Plinio Naturalis Historia XVIII –
  5. - Roland G. Kent - "Studi nelle tabelle iguvine" - in filologia classica - 1920
  6. - Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -

domenica 24 gennaio 2021

Gli antefatti che precedettero la conquista aragonese della Sicilia

Il XIV secolo registra in Europa, in uno all’affermarsi dell’idea di nazione che vede come principali attrici le case regnanti di quelle che saranno poi la Francia, la Spagna e l’Inghilterra, l’esasperazione del ruolo politico della Chiesa i cui equilibri interni erano in gran parte determinati dalla preponderante presenza nei Conclavi dei cardinali allineati politicamente con la casata D’Angiò. La rottura dei precari equilibri europei avviene allorché, dopo la morte di Federico IV detto il Semplice che aveva dovuto accettare la sottomissione al Regno di Napoli ed al Papato, la Real Casa D’Aragona chiede di poter cingere la corona del Regno di Sicilia, sostenendo il suo diritto. La valenza strategica che il possesso della Sicilia acquisiva nel determinare gli equilibri in sede europea, scatenò una contesa diplomatica che non ebbe sbocchi fintanto che Artale Alagona, Signore di Catania, esecutore testamentario di re Federico IV e tutore della regina Maria fu in vita. La decisione della Real Casa D’Aragona di rapire la Regina Maria, figlia ed erede di Federico IV, e di darla in sposa a Martino conte di Exerica, detto il Giovane per distinguerlo dal padre Martino detto il Vecchio, segna l’avvio dell’impresa di Sicilia che porterà gli Aragonesi a conquistare l’isola nel 1392. Il Regio Storiografo della Real Casa D’Aragona, Ieronimo Curita Olivan De Castro, annota le vicende che caratterizzarono la contesa diplomatica che vide contrapposti agli Aragonesi gli Angioini, il Regno di Napoli ed il Papato, mettendo in luce un quadro storico estremamente accurato, in un capitolo delle sue cronache, esattamente nel capitolo XXIII del libro decimo, intitolato Dell’armata che il Re inviò per soccorrere la Sardegna e passare in Sicilia per il diritto che aveva nella successione di quel Regno”, di cui riportiamo il testo:

«Una delle ragioni principali per cui il Re [D’Aragona ] si mostrò indifferente, e non si decise a indicare il nome di qualcuno degli eleggibili a Pontefice, fu perchè pensava che in questa occasione avrebbe potuto avere il favore della Chiesa, e di colui che sarebbe stato il vero  Vicario, per la successione nel Regno di Sicilia, su cui aveva pertinenza in virtù del testamento del Re don Federico suo fratello, che erano figli del Re don Pietro, e che morirono senza lasciare figli nati da legittimo matrimonio, ed essendo morto il Re don Alfonso d’Aragona, che fu il primo ad essere indicato quale successore in quel testamento, ed essendo entrato nell’Ordine Ecclesiastico l ‘Infante don Pietro d’Aragona, che per la morte dell’Infante don Raimondo Berenguer, era succeduto al Re, e quindi gli toccava la successione : giacchè in virtù di quel testamento non poteva succedere una donna in quel Regno. Il Re fece presente questa sua pretesa allo stesso tempo sia al Papa Gregorio confermando l’accordo tra il Re don Federico e la Regina Giovanna, facendo presente, che a suo discapito la Chiesa autorizzava la successione per via femminile: ed inviò presso la Curia Romana don Raimondo Alaman de Cervellon, perchè a suo nome, e della Regina d’Aragona, che era ancora viva, al tempo di quell’accordo con la Regina Giovanna, protestasse per gli aggravi inseriti dal Papa nell’accordo, e dal Collegio dei Cardinali : e pubblicamente fece sapere prima dell’instaurarsi del conflitto, che il Re d’Aragona in ogni luogo e circostanza intendeva entrare con la forza nel possesso del Regno di Sicilia, e di difenderla con le armi, come lo avevano fatto i precedenti Re della casa d’Aragona, supplicando, di non essere costretto, ad acquisire il suo diritto con la forza delle armi. Dopo di ciò il Re inviò al vescovo di Segovia, Andres de Valtierra ed a suo fratello il Papa, affinchè fossero informati del diritto che possedeva nel continuare ad avere il possesso di quel Regno, affinchè il Papa lo canvalidasse, si offriva di ricevere dalle sue mani l’investitura, ed avere così il riconoscimento di devoto alla Chiesa, e concordasse con Ella, per ciò che le toccasse in censo. Ma il Papa non accolse la sua richiesta, scusandosi, perchè quel Regno era feudo della Chiesa, e che nessuno dei Pontefici passati lo riconobbero al Re don Pietro d’Aragona, ne gli concessero l’investitura, ne ricevettero da lui il giuramento di fedeltà, ed essendo in uso che nelle antiche investiture si dava luogo alla successione delle donne, e che era già successo in quel Regno con la Regina Costanza madre dell’Imperatore Federico, e tornò a protestare Andres de Valtierra davanti al Papa ed al Collegio dei Cardinali. Morto il Papa Gregorio, Urbano sesto all’inizio del suo pontificato non si dimostrò per nulla favorevole al Re, ne nella questione riguardante la Sardegna, ne in quella riguardante la Sicilia, sia per la sua difficile posizione, e sia perchè era massimamente rigoroso, e affermò pubblicamente, che il Re d’Aragona doveva essere privato del Regno di Sardegna : e che lui gli avrebbe fatto sapere allo stesso modo, che  riconosceva Re di Sardegna il Giudice di Arborea : e che l’isola di Sicilia era un feudo appartenente alla Chiesa, e che se il Re d’Aragona si fosse introdotto in tale feudo, lo avrebbe privato del Regno d’Aragona. Ma pur avendo ricevuto un diniego, il Re si decise ad iniziare l’impresa di Sicilia, e comandò di riunire una grossa armata per inviarla in Sardegna ; e che da li passasse in Sicilia, e fece sapere che desiderava condurre di persona l’impresa. In quel periodo il Re teneva la difesa dei castelli di Sardegna nella più assoluta povertà, e disperazione, e non soltanto quelli, ma alcuni sudditi del Giudice di Arborea disertavano per il suo dominio tirannico e crudele, e desideravano che arrivasse l’armata del Re : e un cavaliere di grande lignaggio di quell’isola, che si chiamava Valor de Ligia, che era amico e devoto del Giudice di Arborea, passò al servizio del Re, e gli fece dono della villa di Gociano, e degli altri luoghi e castelli, che appartenevano al Giudice [ di Arborea ] col titolo di baronia. In questo periodo il Re confermò il trattato di pace che aveva con la Signoria di Genova tramite Ramon de Villanova camerario del Re, e tramite Damian Cataneo ambasciatore della Signoria, che venne a Barcellona e il duca Nicolas de Goarcho, e il Consiglio dei dodici anziani  di quella Signoria ritornarono ad approvare il trattato di pace che si realizzò tramite il marchese di Monferrat, riservando ciò che spettava ad Alghero : e il duca e la Signoria promisero di non dare sostegno ai ribelli di Sardegna, e che per quelli di Bonifacio, e degli altri luoghi di Corsica, che appartenevano alla Signoria, non assumevano impegni, ne per i traffici commerciali con le terre che appartenevano al Giudice di Arborea. Nel frattempo una parte dell’isola di Corsica si era già ribellata in armi contro i Governatori della Signoria di Genova, e il personaggio che capeggiava questa ribellione era il conte Arrigo de La Rocca, per cui il Re ordinò che venisse sostenuto, perchè potesse difendersi, e rimasero ai suoi ordini i castelli che obbedivano ai suoi comandi. In quest’anno don Alonso marchese di Villena, e conte di Ribagorca sposò sul figlio don Pietro con donna Giovanna figlia del Re don Enrico, e di una donna della casata dei De Vega, che si chiamava donna Elvira Ygniguez : e don Alonso, che era il più grande, e che si trovava in questa stagione in Francia [ … ], non appena finì di pagare il riscatto di suo padre, fu sposato con l’altra figlia del Re don Enrico, che si chiamava donna Eleonora [ … ]. Il marchese di Villena pretendeva di succedere nel Regno di Sicilia, e a motivo di ciò inviò un cavaliere appartenente alla sua casata, suo grande amico, che si chiamava Pedro March, a richiedere al Re il permesso per poter far valere il suo diritto : ma il Re gli rispose che le disposizioni del testamento del Re don Federico il Vecchio erano che egli era il legittimo successore, ed anche quando non avesse voluto dar luogo al suo diritto, era risaputo, che quel Regno apparteneva all’Infanta donna Maria sua nipote e figlia del Re don Federico : e che per ragione derivanti dalla stretta parentela dovevano essere preferiti gli Infanti don Giovanni, e don Martino suoi figli, che erano cugini dell’ultimo Re di Sicilia, fratello di sua madre.»

mercoledì 20 gennaio 2021

Il secondo matrimonio del re di Sicilia Martino il giovane con Bianca di Navarra

Il 1402 vede la celebrazione per procura del matrimonio del Re di Sicilia Martino e della Principessa Bianca di Navarra a Catania nel Castello Ursino nella stanza ove si tenevano le riunioni del Parlamento Siciliano [Sala del Parlamento], attesa la momentanea impossibilità di poter far arrivare Bianca di Navarra in Sicilia e la necessità politica di celebrare al più presto quel matrimonio. Delle vicende del matrimonio tra Martino e Bianca, vale la pena riportare integralmente ciò che dice il Curita:

Sottoscrissero i capitoli del matrimonio il cardinale di Catania, e l’arcivescovo di Caragoca, il visconte don Yaime de Prades, don Pedro de Fennolet, don Berenguer Proxita, don Miguel de Gurrea, e don Pedro de Cervellon suo camarero mayor, Gil Ruiz de Lihori, Ivan Ximenez Cerdan, messer Pedro de Torrellas, camarero mayor, messer Ivan Dezpla, tesoriere del Re, e Ramon Fiveller, che intervenivano in quanto facevano parte del Consiglio del Re. I capitoli di matrimonio indicarono nella loro redazione quelli che erano i confini secondo ciò che era di pertinenza dei loro Regni… Il venti di maggio del 1402 i Re di Navarra e d’Aragona si avviarono verso il castello di Mallen dove si trovava Bianca che si preparava pe recarsi in Sicilia da suo marito [Martino] […]”. (1)

Nell’agosto del 1402 all’interno del Consiglio del Re di Sicilia, Martino il Giovane, si formano due fazioni politiche contrapposte che si scontrano soprattutto a causa, dice il Curita, della prepotenza del conte di Modica Bernardo Cabrera nel voler imporre la sua volontà al Re di Sicilia, pretendendo di non far valere i consigli degli altri componenti il Consiglio. In tale periodo, dice il Curita:

“[…] cominciò a svilupparsi un grande dissidio e scontro tra don Bernardo di Cabrera conte di Modica, Raimondo di Bages e RaimondoXatmar da una parte e don Giovanni Fernandez de Heredia e don Sancho Ruyz dall’altra: giacchè il conte [il Cabrera] pretendeva che il Re seguisse tutti i suoi consigli, e pretendeva di governare con potere assoluto: ed il Re quale Monarca, per la poca esperienza era costretto a seguire il parere di coloro  che facevano parte del suo Consiglio, che erano stati inseriti in esso per ordine del Re [d’Aragona ] suo padre, che erano il cardinale di Catania, don Giacomo de Prades ed altri cavalieri molto importanti e di grande capacità e prudenza: affinchè orientassero la volontà del Re come se fossero una sola persona, per evitare che accadessero fatti gravi all’interno della sua casata ed in tutto il Regno […]. Ma il dissidio aumentava sempre di più, e alla fine delle consultazioni del Re, tra i pochi che si riunirono nel suo Consiglio, vi fu una grande divisione e discordia, tanto che si temette, che si sarebbero aggravati i problemi, i mali, conseguenti ai disordini che si erano sviluppati in quel Regno dopo che Martino iniziò a regnare. - Questa situazione [dice ancora il Curita] venne riferita al Re d’Aragona che ritenendo compromessi l’equilibrio di potere all’interno del Consiglio del Re di Sicilia e la funzionalità dello stesso Consiglio, intervenne con il peso del suo potere e [ continua il Curita ] […] nel luglio del 1403, decise di inviare in Sicilia don Guerrao Alaman de Cervellon, che era un cavaliere molto prudente e valoroso, e di grande autorevolezza, affinchè con il suo consiglio si desse ordine al Governo della sua Casata, e di tutte le altre cose dello Stato( Siciliano ): e provvide, che si inserissero nel Consiglio del Re suo figlio alcuni cavalieri catalani e siciliani tenuti in grande considerazione, che furono don Pedro de Queralt, don Juan de Cruyllas, Ray Alaman de Foxa, commendator de Moncon, bartholome de Iuvenio, mossen Gil de Pueyo, Amyll de Perapertusa, Luys de Rajadel, Gispert de Talamanca, Ubertino de la Grua, y Thomas Ramon […].” (2)   

Sempre nel 1403 Bernardo Cabrera, non accontentato dalla Corona d’Aragona rispetto ai progetti matrimoniali per suo figlio, si ribella nuovamente al Re di Sicilia e si pone in armi contro Martino il Giovane e contro Sancho Ruyz de Lihori. Questa ulteriore ribellione di Bernardo Cabrera dura sino all’inizio del 1404 ed ha fine allorchè si vede stretto nei suoi territori dall’esercito di Re Martino: arresosi a Re Martino ed avendo chiesto di essere perdonato, Bernardo Cabrera, per ordine del Re di Sicilia, è costretto a recarsi in Aragona per essere giudicato dallo stesso Re Martino d’Aragona a cui viene chiesto di giudicare il conte ribelle. Nel marzo del 1404 Bernardo Cabrera parte per l’Aragona per sottoporsi al giudizio del Re e chiederne il perdono. Perdonato dal Re d’Aragona, Bernardo Cabrera torna in Sicilia ma ben presto non rinuncia ad essere il  protagonista nel Consiglio del Re ne manifesta disponibilità ad accettare che le sue richieste possano non essere accolte: nel 1405, ancora una volta, scoppia il dissidio  all’interno del Consiglio del Re e le due fazioni contrapposte ed ormai nemiche, che fanno riferimento a Bernardo Cabrera da una parte e Sancho Ruyz de Lihori dall’altra, arrivano a trasformare il Consiglio del Re in un’arena. Il caso ed il dissidio aperto scoppia allorchè il Consiglio del Re non approva la richiesta avanzata da Bernardo Cabrera di ridurre il territorio della Camera Reginale assegnata da Re Martino di Sicilia alla moglie, la Regina Bianca di Navarra. Il Curita racconta che in quel Consiglio, tenutosi verso la fine del 1405 il dibattito sfociò in uno scontro e si passò alle offese: e prima che il Re di Sicilia si pronunciasse nel merito della questione, Bernardo Cabrera, ancora una volta, si ribello al Re di Sicilia ed occupò alcuni territori della Camera Reginale, provocando grandi sobillazioni nel Regno di Sicilia. Visto che la situazione non si decantava Re Martino di Sicilia, il 10 marzo del 1406, intima a Bernardo Cabrera di allontanarsi dal Regno di Sicilia e di presentarsi, ancora una volta, davanti al Re d’Aragona. Beranardo Cabrera fu costretto nuovamente ad ubbidire e si dovette recare nel Regno di Valencia, visto che il Re d’Aragona si trovava li in quel momento, e si sottopose ancora una volta al giudizio del Re d’Aragona. (3) 

Bibliografia:

  1. Geronymo Curita de Olivan- Anales de la Corona de Aragon, Libro X- Capitolo LXXIIII- p. 437.
  2. Geronymo Curita de Olivan- op. cit.- Libro X- Capitolo LXXVI- pp. 439 retro- 440.
  3. Geronymo Curita de Olivan- op. cit. – Libro X- Capitolo LXXXII- pp. 444 retro-445.

domenica 17 gennaio 2021

Il terremoto del 1818 nel catanese

Alle ore 1,10 italiane del 20 febbraio 1818, vi fu una forte scossa di terremoto che interessò la regione etnea e fu avvertita fortemente in tutta la Sicilia e, più leggermente nella Calabria meridionale e a Malta. Gli effetti più gravi riguardarono l’immediato entroterra di Acireale: le borgate di Aci Consolazione e Aci Santa Lucia furono pressoché completamente distrutte; crolli estesi a gran parte dell’abitato si verificarono ad Aci Catena, Aci Platani, Aci San Filippo e Aci Sant’Antonio. Complessivamente quasi 60 centri subirono crolli di edifici o danni generalizzati al patrimonio edilizio, compresi alcuni paesi dei versanti settentrionale e occidentale dell’Etna; in altre 40 località circa avvennero danni più leggeri. In generale, la presenza di scadenti tipologie edilizie amplificò ovunque gli effetti del terremoto. A Catania in base ai rilievi condotti dall’Intendenza, 1.768 case risultarono danneggiate, di queste oltre il 35% furono dichiarate cadenti e dovettero essere puntellate o demolite. La città era stata interamente ricostruita dopo il terremoto del 1693, era quindi “nuova“ dal punto di vista dello stato di conservazione del patrimonio edilizio. Le perizie attestarono che il terremoto danneggiò edifici caratterizzati da evidenti e gravi difetti di costruzione: molte case non erano state dotate di fondamenta sufficientemente solide, altre erano state innalzate o ampliate in un secondo momento, causando uno squilibrio tra la mole delle costruzioni e le fondazioni. L’1 marzo 1818, alle ore 9,30 italiane, una seconda scossa colpì la Sicilia orientale, in particolare la regione iblea, danneggiando gravemente Militello Val di Catania, Mineo, Ragusa, Vizzini e numerosi altri centri. La scossa causò ulteriori leggeri danni a Catania e fu sentita fortemente nell’acese. Gli eventi sismici del febbraio-marzo 1818 ebbero un elevato impatto sulla vita sociale ed economica delle aree interessate. Le vittime furono 72 ed i feriti circa 100; i danni al patrimonio edilizio furono stimati dalle autorità di governo in 560.000 onze. Le popolazioni colpite dovettero affrontare un periodo di disagi che si sommò alle precarie condizioni socio-economiche contestuali. Negli anni precedenti, la crisi della produzione agricola, le ricorrenti gravi carestie, il crollo del commercio e dell’industria della seta, i disordini e l’incertezza politica seguiti alle leggi di eversione della feudalità e alla restaurazione borbonica avevano accresciuto notevolmente il numero degli indigenti e peggiorato le condizioni di vita generali in gran parte della Sicilia orientale. Le autorità governative ricorsero ad una politica di forte imposizione fiscale per drenare le risorse necessarie a soccorrere i bisognosi e a contenere la disoccupazione attraverso i grandi lavori stradali e le opere pubbliche. Nella fase dell’emergenza, il fermento acuì questa situazione di grave precarietà: molte amministrazioni locali mancavano anche dei fondi necessari alla costruzione di baracche. A medio termine, invece, i danni sismici rappresentarono un’occasione favorevole al consolidamento e all’ulteriore sviluppo della politica di intervento pubblico nel settore edilizio. Ciononostante, in diversi casi, i lavori di ricostruzione furono condotti affrettatamente e diedero vita a fenomeni speculativi, che aggravarono le tensioni sociali preesistenti. Numerose fenditure si aprirono nel terreno in tutta l’area dei massimi effetti: profonde spaccature nel suolo furono osservate anche a Catania. In seguito alla scossa del 20 febbraio 1818, effetti di maremoto si verificarono a Messina, dove l mare entrò nelle strade cittadine; a Brucoli una barca ferma nel porto toccò tre volte il fondo. Secondo osservatori diretti, per tutta la giornata del 20 febbraio le acque del golfo e nel porto di Catania subirono oscillazioni di modesta entità, accompagnate da un “ribollimento” della superficie e, secondo alcuni, da un aumento della temperatura. (1) Presso l’Archivio di Stato di Catania abbiamo cercato e reperito la documentazione che riguarda il terremoto del 1818, di cui illustriamo alcuni dati. Dall’esame della tabella n. 116 si evince che i 36 comuni del Distretto di Catania, che più avanti si elencheranno, furono suddivisi in quattro tipologie classificatorie a seconda del danno subito e cioè:

Prima classe che ha sofferto le massime rovine.
Seconda classe che ha subito danni generali.
Terza classe che ha subito danni medi.
Quarta classe che ha subito danni lievi.
Nella prima classe, che subì le massime rovine, rientrarono i comuni di: Aci Sant’Antonio – Aci San Filippo- Aci Bonaccorso- Mascalcia- Maletto- Piedimonte- Tremestieri- Zafferana- Viagrande- Trecastagni.

Nella seconda classe, che subì danni generali, rientrarono i comuni di: Catania, Aci Reale, San Gregorio, San Giovanni di Galermo, Nicolosi, Randazzo, Trecastagni, Viagrande.

Nella terza classe, che subì danni medi, rientrano i comuni di: Sant’Agata li Battiati, Belpasso, Bronte, Castiglione, Calatabiano, Camporotondo, Fiumefreddo, Gravina Plachi, Linguaglossa, Massa Annunziata, Mascali, Giarre, Motta Santa Anastasia, San Pietro Clarenza, Pedara.

Nella quarta classe, che subì danni lievi, rientrarono i comuni di: Adornò, Aci Castello, Biancavilla, Misterbianco, San Giovanni La Punta, Paternò, Trappeto.

Dai dati contenuti nella tabella 11, di cui al numero d’ordine 20, si rileva che per i danni della chiesa Madre sono stati stanziati 38 tarì, 16 grani e 15 piccioli. Per le case private (nel contesto delle “case che compongono interi quartieri, o che sono sparse nei comuni restaurati coi risparmi”), 38 tarì, 16 grani e 15 piccioli. Sempre nella busta n. 4209, nella tabella n. 50, leggiamo al quadro primo e secondo, ovvero: “Restaurazioni, puntellature ed altro delle fabbriche danneggiate in Catania e nei paesi affidati alla Commissione per i Tremuoti”. “Casa della Bara: Per riparare la casa della Bara scelta per locale del SS. Sacramento, stante opere di molto danneggiate quella Madre Chiesa giusta la deliberazione fatta dell’appalto in persona di monsignor Santo Platania, per onze 29, grani 7 e 10 piccioli”. Sempre nella busta n. 4209, nella tabella n. 17, rileviamo le: “Osservazioni dell’Intendente”: La Chiesa Madre più di ogni altra fabbrica fu in tale modo danneggiata, che fui nella necessità di far costruire una baracca per l’esercizio delle funzioni ecclesiastiche: questo temporaneo provvedimento fa conoscere l’urgenza che la Chiesa venisse riparata prestamente: che perciò riguardarsi indispensabile un soccorso per la chiesa non meno che per la classe degli inabili. I fondi del comune presentano poche risorse. Non si è calcolata nella rubrica de’ soccorsi la spesa della baracca ed il numero de’ legni perché non si è ricevuto dalla Commissione il risultato che riserva rimetterlo allorché terminerà le incombenze alla stessa affidate per tanti comuni, nel conto generale di tutte le erogazioni. Osservazioni dell’Intendente sul resto delle indicazioni degli edifici danneggiati e divisi in

Chiesa Madre
Opere senza rendite sostenute da limosine.
Chiesa Madre: Valore approssimativo del danno: onze 250.

Natura del danno nell’intero comune:

Caduto – % (0,0 %)
Cadente – 2/16 (12,5 %)
Lesionato – 14/16 (87,5 %).
Complessivamente i danni avvennero:

In case e corpi di proprietari abili: in 5 case di diversi proprietari- valore approvato del danno secondo le relazioni- onze 42- non soggette a dazio giacchè il comune è sotto i 2.000 abitanti.
In case e corpi di proprietari inabili: in 70 corpi di case in piano terreno- valore approvato del danno secondo le relazioni – onze 469. (3)
Bibliografia:

Enzo Boschi - Graziano Ferrari - Paolo Gasperini - Emanuela Guidaboni - Giuseppe Suriglio - Gianluca Valensise - Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a. C. AL 1980- Istituto Nazionale di Geofisica.
Archivio di Stato di Catania - Intendenza Borbonica- Busta n. 4209 – Tabella con numero esterno 116.
Archivio di Stato di Catania - Intendenza Borbonica- Busta n. 4209- tabella n. 11 riferita a Motta Santa Anastasia.

domenica 10 gennaio 2021

Un insolito terremoto catanese

La giornata lavorativa di quel martedì di maggio era ormai arrivata quasi alla metà delle sei ore lavorative previste, nel mentre era giunto il momento opportuno che qualcuno aspettava! Cercando di passare inosservata, Giovanna meglio conosciuta come Peppa ‘a Tucca, così ormai la chiamavano i colleghi nella sede centrale di quell’assessorato del comune di Catania, anche quella mattina stava per dichiarare aperto il suo mercatino ambulante abusivo interno all’ufficio,  trascinandosi appresso con calcolata indifferenza una grande borsa dove riponeva le sue mercanzie che vendeva ai colleghi e soprattutto alle colleghe per integrare il suo reddito di dipendente comunale: profumi, chincaglierie, bigiotteria varia e soprattutto indumenti intimi femminili che vendeva nei giorni in cui in assessorato non vi era il ricevimento del pubblico e si era, quindi, più tranquille di non essere disturbate nel mentre avveniva tale inusuale commercio. In quel periodo la sede dell’ufficio dell’assessorato comunale di Catania si trovava al primo piano di un palazzo sito in via Etnea e vi si accedeva attraverso una scala molto stretta, particolare non di poco conto per la dinamica degli avvenimenti che di li a breve sarebbero inaspettatamente accaduti e che solo per pura fortuna non si trasformarono in una tragedia. Quella mattina Peppa ‘a Tucca aveva un incontro programmato, avendo precedentemente concordato con quattro colleghe che lavoravano assieme nella stessa stanza di incontrarsi quel giorno per portare loro un vasto campionario di calze, reggiseni  e mutandine che avrebbero potuto visionare e provare nella loro stanza dopo averne, prudentemente, chiuso a chiave la porta, per non essere disturbate nel mentre esaminavano il ricco campionario. Mentre andava nella stanza dove le quattro colleghe attendevano di visionare e provare il campionario di indumenti intimi femminili, l’ultima stanza a destra in fondo al corridoio, casualmente incontrò il suo collega Demetrio, da poco trasferito in quell’ufficio,  che stava conversando con un altro collega, Giasone, fumando una sigaretta davanti la porta della stanza, l’ultima in fondo al corridoio dove lavorava assieme a sei colleghe donne, scambiando un veloce saluto di circostanza. Demetrio solo da poco era stato trasferito in quell’ufficio, che curava i rapporti con le sedi dell’assessorato distaccate sul territorio comunale, ed ancora non conosceva bene tutti i colleghi e le colleghe che lavoravano in assessorato, tranne qualcuno con cui aveva avuto modo di lavorare in passato come Giasone, conosceva di vista la collega Giovanna soprannominata Peppa ‘a Tucca ma non sapeva ancora niente di lei e del suo improponibile giro d’affari interno all’ufficio. Nel mentre entrava nella stanza delle quattro colleghe che l’attendevano già, Peppa ‘a Tucca con fare civettuolo si rivolse a Demetrio dicendo con un sorrisetto che accompagnava le sue parole:

“ Tu qui non puoi entrare, ora chiudo la porta perché siamo tutte donne !”

Incuriosito da quella frase pronunciata da Peppa ‘a Tucca che nel frattempo era entrata nella stanza chiudendo la porta a chiave, frase di cui non coglieva l’esatto significato, Demetrio si rivolse al collega Giasone per chiedergli spiegazioni sull’esatto  significato della frase pronunciata da Peppa ‘a Tucca, una volta che le cinque donne si erano rinchiusero a chiave nella stanza:

“ Devi sapere < disse Giasone sorridendo mentre rispondeva a Demetrio > che la collega Giovanna che ti ha appena salutato in questo ufficio viene chiamata Peppa ‘a Tucca perché, così come questa famosa popolana catanese che faceva commerci nella zona del porto di Catania, anche lei esercita questo commercio all’interno dell’ufficio dell’assessorato, vendendo di tutto ai collegi e soprattutto alle colleghe, specialmente indumenti intimi femminili. Ti ha detto che tu nella stanza non potevi entrare perché, come sempre in questi casi, lei fa provare alle colleghe la biancheria intima per cui sono costrette a chiudere la porta a chiave perché nessuno possa entrare nel mentre provano tali indumenti.”

“ Quindi ora nella stanza  le colleghe che vi lavorano staranno provando calze,  reggiseni e mutandine ?” chiese Demetrio un po’ sorpreso.

“ Esattamente” rispose Giasone, sorridendo.

Dopo essersi salutato con Giasone, Demetrio ritornò al suo posto di lavoro la cui parete che aveva alle spalle, una parete molto alta, lunga e fatta di una sola fila di mattoni forati sottili divideva lo spazio con la stanza accanto dove le quattro colleghe stavano esaminando il campionario di indumenti intimi; ripensando all’episodio di poco prima e sorridendo tra se e se per la scena che, lui immaginava, si stava svolgendo nella stanza accanto oltre quella sottile parete che divideva le due stanze dove le quattro colleghe dovevano essere impegnate a provare biancheria intima, tornò a considerare quell’irrituale modo di lavorare e quell’insolito commercio “ intimo” che si stava svolgendo presso la sede dell’assessorato. Poi d’improvviso, senza sapere il perché, forse sospinto dal demone burlone che di tanto in tanto alimentava il suo mai sopito spirito goliardico, Demetrio, assecondando un impulso incontrollabile, si voltò verso la parete che separava le due stanze ed iniziò a martellare la stessa con dei pugni dati a ripetizione e fortemente sulla parete, immaginando di provocare solamente del rumore che, immaginava, avrebbe fatto spaventare le colleghe nell’altra stanza, ma così, solo per ridere un po’. Ma non fu così, l’effetto di quei pugni dati su quella sottile parete fu ben più ampio e pernicioso di quanto lui avesse potuto prevedere ! Appena ebbe iniziato a percuotere la lunga parete divisoria tra le due stanze, questa cominciò ad ondeggiare in modo imprevisto, come se fosse stata sollecitata da qualche moto ondulatorio dovuto a scosse di terremoto. Il rumore prodotto dai pugni dati da Demetrio sulla parete divisoria tra le due stanze e l’effetto ondulatorio che questi pugni ebbero sulla stessa parete  produssero, contemporaneamente, lo stesso effetto nella stanza accanto dove le cinque donne che vi si trovavano, di cui alcune intente a provare biancheria intima, pensarono che l’ondeggiare della parete e quel rumore ripetuto fosse l’effetto di qualche fenomeno sismico che stava accadendo in quel momento. Quasi immediatamente Demetrio udì distintamente un forte frastuono proveniente dalla stanza accanto dovuto al rumore di sedie rovesciate e di grida di donne, accompagnate dalla reiterata pronuncia di una parola gridata:

Il Terremoto, il Terremoto, i Terremoto !”

Resosi immediatamente conto del non voluto e inaspettato effetto provocato dai pugni con cui aveva percosso la parete, Demetrio andò subito di corsa verso la porta della stanza accanto per avvertire le colleghe che non c’era stato alcun terremoto ma che erano stati i suoi pugni sulla parete ad aver causato quell’effetto ondulatorio della stessa: si accorse che la porta veniva sbattuta ripetutamente nell’evidente contemporaneo tentativo da parte di più persone che cercavano, inutilmente, di aprire la porta chiusa a chiave, accompagnando questo tentativo con l’emissione di grida isteriche e con la reiterata pronuncia della parola “ Il Terremoto, il Terremoto, il Terremoto!” Demetrio allarmato rimase davanti alla porta aspettando che finalmente si aprisse per rassicurare le colleghe che non si trattava di terremoto bensì dell’imprevisto effetto dei suoi pugni sulla parete. Finalmente, dopo un po’, la porta della stanza venne aperta mentre tutte e cinque le donne tentavano contemporaneamente di uscire da quella stanza; per prima uscì la responsabile di quell’ufficio interno, Gertrude, che con lo sguardo stravolto e con voce stentorea gridò con forza a Demetrio che si trovò di fronte:

“ Scappiamo Demetrio c’è il terremoto, scappiamo !”

Cercando di mantenere la calma Demetrio si rivolse a Gertrude cercando di spiegarle cosa fosse effettivamente successo:

“ Gertrude ascoltami non c’è stato e non c’è alcun terremoto, la parete ha oscillato perché vi ho battuto sopra io con dei pugni !”

Ormai presa dal panico ed incapace di capire ciò che Demetrio voleva comunicarle per rassicurarle, Gertrude lo afferrò per la giacca e sbattendolo con forza, ripetutamente, continuò a gridargli con gli occhi sbarrati dalla paura:

“ Si, si c’è il terremoto, scappiamo, scappiamo !”

In men che non si dica lei e le altre quattro colleghe terrorizzate, che nel frattempo erano uscite dalla stanza dopo essersi ricomposte, cominciarono ad entrare in tutte e ventiquattro le stanze dell’assessorato, compresa quella del direttore e dell’assessore, gridando come forsennate:

“ Il Terremoto, il Terremoto, c’è il Terremoto, scappiamo, scappiamo, uscite dalle stanze !”, provocando il totale panico in tutto l’ufficio dell’assessorato ed un conseguente, inarrestabile, caotico fuggi, fuggi generale accompagnato da urla di terrore.

Demetrio assisteva impotente e con rassegnata impassibilità allo scatenamento di questa paranoia e isteria collettiva a cui ormai non poteva porre rimedio; rimanevano non coinvolte le sei colleghe della stanza dove lui lavorava perché avevano visto tutto ciò che era accaduto e pertanto erano consapevoli che non vi era stato nessun terremoto a causare l’ondeggiamento della parete e che pertanto non vi era motivo di scappare.

In maniera progressiva e irrefrenabile tutti i circa centoventi dipendenti che lavoravano presso la sede dell’assessorato comunale si misero a correre contemporaneamente verso la stretta scala, cercando la desiderata salvezza nella sede stradale della vicina via Etnea, accalcandosi nelle scale, spintonandosi, urlando e gridando nel mentre correvano verso l’esterno dell’edificio e fu certo dovuto a qualche miracolo se nessuno cadde e si fece male.

Nel mentre accadeva tutto ciò un filo di sudore freddo scendeva lungo la schiena di Demetrio, che conscio di ciò che aveva non volontariamente provocato, aveva ormai capito di non poter fare più nulla per porre fine a quell’isteria collettiva che aveva svuotato l’ufficio dell’assessorato; ritornò sconsolato verso la sua stanza dove incontrò lo sguardo severo delle sue sei colleghe che assieme a lui vi lavoravano che, senza profferir parola, furono capaci di farlo sentire in colpa per ciò che aveva scatenato, anche se involontariamente. Nel mentre si udivano ancora distintamente le grida dei colleghi e delle colleghe e dei colleghi scappati dalla proprie stanze e che ora si erano spostati tutti insieme al centro di via Etnea, per essere distanti quanto più possibile dai palazzi che avrebbero potuto crollare, Demetrio si avvicinò alla finestra della sua stanza, che dava su via Etnea, e nel mentre osservava scoraggiato e preoccupato i suoi centoventi colleghi e colleghe posti al centro di via Etnea, assieme a tutti gli altri occasionali passanti che era stati coinvolti in questa paranoia collettiva, sentì la voce della responsabile della stanza che si era anch’essa avvicinata alla finestra e con voce accusatoria gli disse:

“ Hai visto cos’hai combinato ?” e Demetrio, sentendosi sempre più depresso, non ebbe la forza di risponderle nel mentre osservava quella scena drammaticamente felliniana.

Nel frattempo i centoventi dipendenti dell’assessorato comunale avevano di fatto occupato la sede stradale di via Etnea, tenendosi accalcati gli uni agli altri e guardando tutti in alto ed in giro per vedere se qualche cornicione od altra parte di edificio si fosse staccato a causa del terremoto precipitando loro addosso, bloccando ogni forma di traffico veicolare e facendo si che i molti passanti che in quel momento transitavano in quel tratto di via Etnea si ponessero anch’essi al centro della strada indotti da quell’isterico comportamento collettivo e dalle grida “ Il Terremoto, il Terremoto, il Terremoto !” Nel breve volgere di pochi minuti il traffico di via Etnea si bloccò formandosi una lunghissima fila di macchine e presto arrivarono i mezzi dei Vigili del Fuoco, le macchine della Polizia Municipale, diverse Volanti della Polizia e alcune Pantere dei Carabinieri che erano stati informati di quel blocco stradale: un ufficiale dei Carabinieri si rivolse al direttore dell’assessorato per avere spiegazioni sulle cause di quell’evento collettivo che non aveva motivazioni apparenti e plausibili ma che poteva configurare anche un’ipotesi di reato penale, avendo determinato il blocco del traffico.

Convinto anche lui che vi era stata una forte scossa di terremoto il direttore dell’assessorato cercò di spiegare alle forze dell’Ordine intervenute sul posto che quel tranbusto era stato determinato dall’aver avvertito una forte scossa di terremoto che aveva scatenato il panico tra i dipendenti della sua direzione e la conseguente fuga di tutti in un luogo aperto nel tentativo di sottrarsi all’eventuale crollo di pareti od altre parti dell’immobile. La immediata verifica effettuata dalle forze dell’Ordine presso la Prefettura di Catania accertò che non vi era stata alcuna scossa di terremoto a Catania e che pertanto non vi era motivo di continuare a stare al centro di via Etnea, bloccando il traffico e rischiando di essere denunciati per blocco stradale. Resosi conto che il panico che si era scatenato non avrebbe avuto motivo d’essere, dato che non vi era stato alcun terremoto, ma non avendo contezza della iniziale dinamica degli eventi e di chi fossero stati i soggetti che lo avevano determinato il direttore dispose l’immediato rientro dei dipendenti nei propri uffici, accompagnando quest’ordine con una colorita e significativa domanda rivolta a tutti gli impiegati in pura e nobile lingua siciliana:

“ Iu vulissi sapiri cu minghia fù ca dissi ca c’era u tirrimotu ?”, ma la sua domanda non ebbe risposta.

Nello stesso momento alla mente di Demetrio tornò, stranamente, il ricordo letterario della cacciata dei mercanti dal tempio da parte di Gesù Cristo.

giovedì 7 gennaio 2021

La rappresentatività territoriale del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia

Sul travagliato periodo intercorso tra la preparazione dello sbarco degli Alleati in Sicilia e le vicende che portarono la Sicilia ad ottenere lo Statuto Autonomo Speciale numerosi e qualificati autori hanno scritto autorevolmente, fornendoci una enorme quantità di dati relativi alla organizzazione ed alle lotte condotte in Sicilia sia dal M.I.S. che dall’E.V.I.S. ed all’attività dei nuovi partiti italiani che permettono, a chi ha interesse, voglia e pazienza di leggerli, una lettura organica di quelle vicende. Il presente, sintetico articolo ha il solo scopo di evidenziare alcuni dati relativi alla rappresentanza del M.I.S. nei vari contesti territoriali isolani all’indomani dell’approvazione dello Statuto Autonomistico Speciale della Sicilia, in occasione delle elezioni politiche del 2 giugno 1946. Abbiamo ritenuto, dato il limitato orizzonte in cui si proietta il presente articolo, di mettere in evidenza i dati relativi ai comuni in cui il M.I.S. è stato più rappresentativo ed i comuni in cui, invece, è stato meno rappresentativo. I dati sono stati organizzati in 9 tabelle distinti per singola provincia assieme a due tabelle generali riassuntive per l’intera Sicilia. Ci è stato particolarmente utile il testo di Aurora Corselli e Lidia De Nicola Curto “Indipendentismo e indipendentisti nella Sicilia del dopoguerra” - Vittorietti Editore – Palermo 1984. L’iniziale raggruppamento dei dati elettorali potrebbe, in un successivo e più approfondito studio, essere correlabile alla individuazione delle condizioni socio-ambientali e dei soggetti che, per i loro ruoli o per la loro influenza su alcune comunità, potrebbero aver determinato dei risultati particolarmente rilevanti in ampia o bassa rappresentatività del M.I.S. nelle elezioni politiche del 2 giugno 1946.

Appare comunque utile mettere in evidenza la composizione del nucleo politico centrale del M.I.S., così come viene descritto da Giuseppe Carlo Marino nella sua prefazione al testo della Corselli e della De Nicola Curto, precedentemente citato. Dice Giuseppe Carlo Marino: “La compiuta ‘radiografia’ della membership separatistica, realizzata dalle due studiose palermitane, mette inequivocabilmente in evidenza, ai vari livelli delle ‘ forze attive’ analizzate, la schiacciante preponderanza di esponenti del ceto agrario privilegiato e della borghesia medio-alta degli affari e delle professioni, in un contesto dinamizzato da una vivace, pittoresca, e talvolta tumultuosa, presenza giovanile ( studenti medi e universitari, in un periodo nel quale, a parte le eccezioni, era vistosissimo il carattere elitario e di classe della scolarità superiore), al segno di ‘ideali’, dai contenuti quasi sempre ineffabili, e comunque eterogenei e contraddittori, talvolta adottati per comodo politico ed enfatizzati con astuto calcolo. Ecco, in dettaglio, il dosaggio autentico delle forzeche costituivano l’area del protagonismo separatistico: ‘ ben il 44,80 % della militanza era costituito da agrari (23,27 %) e professionisti (21,52)’. Questo blocco – scrivono ancora le due studiose – affiancato e per qualche verso integrato dall’apporto minoritario di elementi del settore industriale (4,24 %), di artigiani (4,17 %), di commercianti e simili (8,05 %) e di impiegati (6,81 %), aveva l’opportunità di avvalersi di una massa di manovra costituita dagli studenti ( 22,40 % ). […] I ceti popolari, in tutta la loro variegata composizione sociale, dagli operai (2,34 %) ai contadini (1,90 %), all’eterogenea categoria degli addetti ai servizi (1,02 %) costituiscono una porzione minima, pressoché insignificante, dell’universo di militanza separatista registrato dal nostro campione.”

In questo articolo non può essere approfondita la problematica volta ad individuare le scaturigini e le ragioni dell’iniziale vasto successo del movimento separatista. Andrebbero in altra sede valutate, ad esempio, le valutazioni contenute nel rapporto del Generale dei Carabinieri Amedeo Branca del 18 febbraio 1946 diretto al Comandante Generale dei Carabinieri Brunetto Brunetti, nel quale si affermava che: “[…] è noto che il movimento separatista e la maffia hanno fatto causa comune e che i capi del movimento, di cui si è discorso, si debbono identificare per lo più fra i capi della maffia dell’isola […]”. Così come sono da valutare attentamente le affermazioni di Palmiro Togliatti nel suo discorso ai dirigenti della Federazione Comunista messinese del PCI, l’11 novembre 1947, citate da F. Renda nel suo testo ‘La Questione Siciliana’, laddove il leader comunista sottolineava il ruolo democratico di un’ampia parte della ‘piccola e media borghesia’ che si ritrovò sul fronte delle rivendicazioni di Finocchiaro Aprile, in conseguenza degli eccessi commessi dallo Stato e dai partiti nei confronti di tutti coloro che parlavano il linguaggio separatista. Vediamo, adesso, quale fu il risultato politico-rappresentativo del M.I.S. alle elezioni politiche del 2 giugno 1946, i cui dati sono stati tratti e disaggregati dal testo delle due studiose palermitane prima citate.

Provincia di Palermo

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Bolognetta1396129577669,92
2Aliminusa95789324527,43
3Altofonte3168274473626,82
4Caccamo52964652121526,11
5Cefalà Diana73564816926,08
1Balestrate41613662120,32
2Cinisi45553927310,78
3Altavilla Milicia23362105190,90
4Castelbuono69636193621,00
5Chiusa Sclafani36453320401,20

Provincia di Agrigento

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Realmonte2280205592545,01
2Castrofilippo2785256171828,03
3Bivona3314292859420,28
4Casteltermini73646437113217,58
5Grotte5317474060712,80
1Calamonaci1086103930,28
2Cattolica Eraclea57685280170,32
3Cammarata46154163160,38
4Ravanusa91908536430,50
5Camastra1945174790,51

Provincia di Trapani

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Poggioreale1894171237021,61
2Gibellina4171364940010,96
3Calatafimi746664964927,57
4Alcamo239642005511215,58
5Salemi1157391515045,50
1Pantelleria67585551140,25
2Castellammare Del Golfo116699463440,46
3Partanna84097550430,56
4Favignana36513082250,81
5Vita34742965250,84

Provincia di Caltanissetta

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Villalba2558237565027,36
2S. Caterina Villarmosa5764519655910,75
3Niscemi12673116333953,39
4San Cataldo12502109483613,29
5Caltanissetta30735259125252,02
1Riesi110589622690,07
2Bompensiere66862410,16
3Milena2565237780,33
4Acquaviva Platani1755160560,37
5Marianopoli2302213980,37

Provincia di Enna

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Nicosia104479000470452,26
2Piazza Armerina1518212591400031,76
3Agira94677967136717,15
4Sperlinga93481913316,23
5Calascibetta4662398248011,16
1Barrafranca79577188600,83
2Assoro29072566931,40
3Nissoria Pietraperzia747966631562,34
4Villarosa599653531372,60
5Centuripe625752651813,43

Provincia di Catania

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Fiumefreddo Di Sicilia36323220195060,56
2Belpasso68105901192532,62
3Linguaglossa44243540108327,10
4S. Maria Di Licodia3371302776725,34
5Riposto73326410142522,23
1Maletto21872000110,55
2Mirabella Imbaccari45754077421,03
3San Cono18461624301,84
4Camporotondo Etneo521493122,43
5San Gregorio Di Catania13101149282,43

Provincia di Siracusa

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Solarino32012938113338,56
2Floridia89097917216427,33
3Palazzolo Acreide82917208161122,35
4Melilli3979360155815,49
5Sortino6215559182114,68
1Cassaro13331237171,37
2Carlentini664860331612,66
3Buscemi16531459402,74
4Avola13322119493663,06
5Buccheri288126711033,85

Provincia di Ragusa

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Ispica74976805284041,73
2Giarratana271024571285,21
3Monterosso Almo315328461394,88
4Modica24840211739114,30
5Acate286425741104,27
1Chiaramonte Gulfi676460291442,38
2Ragusa29718268776492,41
3Comiso15122133693472,59
4Pozzallo633454491452,66
5Scicli14077124253402,74

Provincia di Messina

N.COMUNEELETTORIVOTANTIVOTI M.I.S.% M.I.S.
1Reitano93486845952,88
2Capizzi2861226681135,79
3Mistretta71106195159225,69
4Forza D’Agrò1702153734022,12
5Graniti1470132326620,10
1Oliveri101295210,10
2Condrò70963210,16
3Leni52347210,21
4Basicò104395730,31
5Mongiuffi Melia1479132660,45

I DIECI COMUNI IN CUI IL M.I.S. E’ STATO PIU’ VOTATO

N.COMUNEPROVINCIAVOTI M.I.S.% M.I.S.M.I.S.-MEDIA PROVINCIALE
1BolognettaPalermo77669,9211,79
2Fiumefreddo Di SiciliaCatania195060,5610,42
3ReitanoMessina45952,885,05
4NicosiaEnna470452,2613,04
5RealmonteAgrigento92545,014,59
6IspicaRagusa284041,735,36
7SolarinoSiracusa113338,569,03
8CapizziMessina81135,795,05
9BelpassoCatania192532,6210,42
10Pizza ArmerinaEnna400031,7613,04

I DIECI COMUNI IN CUI IL M.I.S. E’ STATO MENO VOTATO

N.COMUNEPROVINCIAVOTI M.I.S.%  M.I.S.M.I.S.-MEDIA PROVINCIALE
1RiesiCaltanissetta690,072,29
2OliveriMessina10,105,05
3CondròMessina10,165,05
4BompensiereCaltanissetta10,162,29
5LeniMessina10,215,05
6PantelleriaTrapani140,253,21
7BasicòMessina30,315,05
8MilenaCaltanissetta80,372,29
9Acquaviva PlataniCaltanissetta60,372,29
10MarianopoliCaltanissetta80,372,29

Giovanni Pantaleo, un frate garibaldino

L’impresa garibaldina in Sicilia più volte rinviata per l’esigenza di Garibaldi di avere una qualche certezza della sua riuscita, fu preparata con molta accuratezza e vari furono i velleitari tentativi messi in atto in precedenza da vari personaggi, fra cui Rosalino Pilo, soffocati nel sangue. La documentazione storica che attesta come l’arrivo di Garibaldi in Sicilia avvenne in un contesto in cui vari personaggi e realtà locali erano pronti a sorreggere l’impresa è inequivocabile; certo Garibaldi non era del tutto sicuro della vittoria e più volte rischiò la sconfitta. Ma come a volte accade che il destino o eventi imprevisti risultano, pur nella loro limitatezza di risorse aggiuntive non prevedibili, determinanti per il successo o il fallimento di un’impresa, quando ciò non è escluso che sia avvenuto in seguito alla esplicazione della volontà umana. Nel presente articolo vogliamo porre l’attenzione sul ruolo che potrebbe aver avuto nel successo dell’impresa di Garibaldi in Sicilia l’iniziativa di frate Giovanni Pantaleo. Qualche tempo fa mentre mi trovavo a compiere delle ricerche alle Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero” ebbi modo di conoscere e dialogare con il pronipote di frate Giovanni Pantaleo, il vulcanologo francese Carlo Laj, che aveva rivestito il ruolo di cappellano militare nell’esercito garibaldino ad iniziare dal 1860.

Dopo l’incontro con il prof. Laj ho approfondito la mia ricerca su frate Giovanni Pantaleo ed ho avuto la possibilità di reperire la sua immagine fotografica.
Approfondendo ulteriormente la ricerca su frate Pantaleo presso le Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero”, ho avuto modo e fortuna di reperire un prezioso manoscritto di Eugenio Varvaro “La Rivoluzione Siciliana del 1860”, in cui erano riportate informazioni riguardanti il ruolo aggregativo avuto da frate Pantaleo a favore dell’esercito garibaldino.

Nel suo manoscritto Eugenio Varvaro alle pagine 5 e 6 parla così di frate Giovanni Pantaleo:
“Fu qui [a Salemi] che Giovanni Pantaleo, nato a Castelvetrano, frate del convento degli Angeli in Salemi, abbandonato il convento: ad esempio dei fiacchi, a prova che nel nome e nelle aspirazioni alla Patria, la fede può sposarsi alla azione e diventare miracolo d’eroismo, con l’abito francescano si presentò a Garibaldi. E fu tale la convinzione addimostrata nelle sue parole dal fraticello, fu tale l’entusiasmo con cui intendeva combattere tra le fila dei liberatori della sua Patria, che Garibaldi, abbracciandolo gli disse: voi sarete il nostro Ugo Bossi. E Giovanni Pantaleo fu per tutti campi garibaldini per la libertà dei popoli, esercitante, sotto la tonaca del frate per cui indossò la camicia rossa e colla croce in pugno e la spada al fianco, con gran prestigio sulle plebi, cooperando così grandemente alla vittoria.”
Riportiamo l’opinione di Eugenio Varvaro e pensiamo anche noi che, probabilmente, il destino abbia condizionato il corso della storia… servendosi di frate Giovanni Pantaleo.

Critolao il più famoso sarto di Sicilia

Gaius Licinius Verres ( Verre) venne nominato Pretore di Sicilia nel 73 a.C. ed usufruendo di una imprevista proroga del suo mandato dovuta ...