martedì 9 marzo 2021

Quando un ciclone devastò Favara

Il sacerdote Giuseppe Cafisi, arciprete di Favara, ha documentato gli straordinari e disastrosi eventi atmosferici che interessarono la “Terra Della Favara” il 10 marzo 1772, che causarono danni e distruzioni per una eccezionale grandinata, durata diverse ore, e di un ciclone che distrusse ogni cosa che incontrò sul suo cammino.

Dalle prime ore di quel 10 marzo 1772 la temperatura a Favara si era abbassata in modo insolito e notevole e tale si mantenne per l’intera giornata; alle ore 19,30 su Favara si abbatte una violentissima grandinata, durata oltre tre ore, con chicchi di grandine anche di dimensioni pari a quella di una grossa arancia e, dice il Cafisi: “ … accompagnata da fulmini, e tuonise ne pesò dopo tre ore una di due libre, e undeci oncie, oltre le tante, che se ne dicono, forse con iperbole, cadute più grosse. Si ruppero al loro empito quasi il terzo delle tegole delle case, e le vetrate delle fenestre con gravissimo danno di ciascheduno. Lo spavento, e il timore, che grandini di tal non mai veduta grossezza non facessero cadere i tetti delle case, preservò molta gente dalla morte, mentre da alcuni si accorse alle chiese, e da altri a luoghi più sicuri, ove, ove non arrivò poi il Turbine, o almeno non produsse i violenti effetti del suo furore.”

Di li a poco su Favara si abbatte la furia di un ciclone che: “ … produsse quei deplorabili danni, che faran per gli altri oggetti di meraviglia, e per noi lo faranno per più anni di amaro pianto.

A causa dell’arrivo del ciclone: “ … si alzarono su quell’acque tre colonne come di agitato, e torbido fumo, l’una alla Pietra Patella, l’altra alla Foce del Fiume di Naro, e la terza al di là della Chiesa di S. Leone, queste ora diritte, ora curve, tornando colla loro cima a battere, e a dividere le onde con empito, lanciavano dal seno fulmini, e tuoni, e poi unitesi le due estreme a quella del mezzo, formossene una sola, che uscita dal mare, e tornatavi di belnuovo dopo il dibattimento di un’ora, ne uscì interamente, e dirizzò il suo corso al Nord verso quella sfortunatissima Patria.

Nel corso del suo cammino il ciclone: “Tutto rovinò, alberi, fabbriche, e siepi. Si contarono in un podere di non più che quattro tumuli di Terre (era tal campo proprio di Domenico Sorcio) 68 alberi di mandorlo svelti dal suolo, e 112, in un altro campo vicino, e innumerabili altri in tutti quei luoghi, per cui passò il Turbine, che furono l’oggetto della mesta curiosità, e spavento di tutti noi […].”

Narra ancora Giuseppe Cafisi che il ciclone: “La prima casa che incontrò, tuttoché fabbricata nello scorso Maggio, restò diroccata fin dalle fondamenta, facendone volar per aria il tetto, e le tegole, e ne trasportò una trave lungi più di 500 passi. Rovesciò tante altre case, rovinò molti tetti, e quei tra gli altri della Chiesa di S. Francesco, di nostra Signora delle Grazie, cui conquascò pure il campanile, e di S. Calogero, ove cadde la pesante statua del Santo, che si spezzò un braccio, e una mano, ed in essa piena di tanta gente non accadde alcun disastro con gran meraviglia d’ognuno. […] Entrò pure nella Chiesa Parrocchiale, ruppe la grossa stanga, che ne chiudeva la porta maggiore, fe ballare sull’alto tetto e tegole, sul pavimento i sedili, che vi erano per comodo di ascoltar la predica della quaresima, fe vacillare il Pulpito, sollevò in aria i veli, che coprivano le sacre immagini, estinse le lampadi, ma non già le candele accese all’altare, ove è riposta la Sacra Pisside. Grande fu qui lo spavento, che provò quella Gente ivi accorsa poco pria per lo timor della grandine, ma fu maggiore, quando sopraggiunsero per lo terrore del Turbine donne scarmigliate, e confuse, uomini semivivi, e tremanti, ne’ può facilmente descriversi uno spettacolo così lacrimevole; la confusione, i pianti, e tutto ciò, che detta il timor della morte, produssero degli svenimenti pericolosi, e fino tre gravide fece temere di imminente aborto, sebbene una di esse solamente abbia ivi dato a luce un fanciullo. […] Lo strepitoso fragore del Turbine accresciuto da quello delle rovine di tante fabbriche, il tremor della Terra, che sebbene non sia stato un vero Tremuoto, ma comunicatosi al suolo dallo scotimento delle fabbriche, come dalle vele a pesante Nave si comunica il moto in quelle prodotto da venti, tuttavia fu da molti sensibilmente percepito, ci fece a ragione tutto ciò temere l’eccidio del Mondo. […] Si saputo da chi scrive, che la statua di S. Calogero, pria di cadere a terra, fece come un giro nell’aria. Ha veduto l’Autor della presente, che il Turbine svelse dalle radici un grand’Albero di Mandorlo, che era nato in mezzo a una gran pietra, e pure fe precipitare un gran masso; come un tale effetto si vide in qualche altro luogo, ove si scorgono cadute pietre molto sorprendenti.”

 


giovedì 4 marzo 2021

Le origini storiche del catasto

Le origini del Catasto moderno vanno, certamente, ricercate nelle riforme amministrative dello Stato Romano, con probabili precedenti nella Grecia antica e, sicuramente, nell’antico Egitto; a Roma tali riforme furono realizzate unitamente e conseguentemente al sorgere dell’esigenza dello Stato Romano di poter disporre di uno strumento politico-amministrativo che fornisse la conoscenza esatta dei beni posseduti dai suoi cittadini. Dal punto di vista etimologico sembrerebbe che il: … termine italiano <catasto> […] secondo una certa scuola di pensiero […] potrebbe derivare dalla parola latina <catastrum>, che significa registro di inserimento o di accorpamento di proprietà e da <catasticu>, termine tecnico che indicava l’inventario dei beni fondiari. Ambedue derivano a loro volta da termini greci di uguale significato. Non è un caso che la struttura giuridica e tecnica del catasto (il <codex gromaticus>) si affermi in epoca romana, insieme alle altre fondamentali istituzioni giuridiche e sovverta consuetudini precedenti attraverso le proprie regole, la nuova politica dello stato”. (1)

In alcuni casi parrebbe che delle operazioni catastali dello Stato Romano, conseguenti sovente alle suddivisioni del territorio di nuova acquisizione per conquista militare, abbiano lasciato tracce in alcuni territori, individuabili, ancora oggi, in suddivisioni catastali del territorio riconducibili all’intervento romano. (2) Sotto questo profilo è interessante rilevare criteri e forme che determinavano la suddivisione del territorio, realizzata dagli Agrimensori Romani, ed il suo inserimento nel Catasto Romano, la cui conoscenza: “ … si basa su alcune fonti letterarie da cui traspare una prima fondamentale distinzione tra le terre indivise e le terre frazionate. Appartengono alla prima categoria le terre assegnate globalmente alle comunità urbane, alla nobiltà, e alle istituzioni religiose. I nobili e i religiosi possono a loro volta concedere i terreni ai loro coloni, ma rimangono responsabili direttamente dal punto di vista fiscale nei confronti dello stato. In linea generale ciò che caratterizza il disegno del territorio in epoca romana è la < Centuriazione >, cioè il frazionamento del terreno in un certo numero di < Unità agrarie > attraverso una maglia viaria costituita da strade che si intersecano ad angolo retto. Ogni centuria, di superficie generalmente quadrata, ha un lato di circa 710 metri ed una superficie d circa 50 ettari. I limiti delle centurie costituiscono gli assi della rete viaria principale. All’interno della centuria il terreno può essere ulteriormente frazionato in sub-unità delimitate da una rete viaria secondaria. L’assegnazione delle terre prescinde dalla centuriazione: infatti più centurie possono fare capo a un’unica proprietà e una singola centuria può essere frazionata tra diversi proprietari”. (3)

La caduta dell’Impero Romano e le condizioni che caratterizzarono l’Italia e l’Europa nel corso del medioevo fecero venir meno quella cultura catastale romana che, iniziò a essere nuovamente attenzionata nel corso del rinascimento. Il ritorno a metodologie più direttamente collegate a parametri geometrici ed alla produttività agricola, connessa alla funzione sociale della produzione agraria, si hanno con l'avvento dell’Illuminismo che mira a scardinare il principio della proprietà terriera svincolata dalla produttività e promuove l’uso sociale delle risorse che dall’agricoltura possono essere tratte, unitamente alle esigenze degli stati di poter disporre di una fonte certa di prelievo fiscale dalla proprietà delle terre, da realizzarsi in forma diffusa e libera da parte dei ceti produttivi. Tali necessità stimoleranno la modernizzazione del Catasto ed esso: “ … costituirà la legittimazione di questa forma di possesso, il suo riconoscimento, non solo di principio, ma pratico ed effettuale”. (4)

Nel Regno delle Due Sicilie Carlo III di Borbone, onde realizzare un sistema fiscale che garantisse una maggiore equità sociale, avviò la formazione del cosiddetto Catasto Onciario la cui attuazione concreta e definitiva, però, non venne mai realizzata, giacché, come sostiene il Villani il fallimento dell’iniziativa fu dovuto: “ … alla inefficienza del governo centrale e ai limiti del riformismo borbonico, incapace di colpire i privilegi feudali, i particolarismi municipali e di trasformare radicalmente le strutture dello stato”. (5) Un passo in avanti nelle riforme amministrativo-fiscali, anche se di breve durata a casa dei sovvertimenti politici di quel periodo, era stato compiuto nel 1810 dal Parlamento Siciliano che era: “ … riuscito a rimuovere il sistema di imposizione fiscale basato sui donativi e a porre le basi per la formazione di un catasto. Fu stabilito che il carico tributario complessivo venisse diviso in dieci fonti imponibili e ad ognuna di queste fu assegnata la quota con cui doveva contribuire. Fu stabilito anche che l’imposta sulla proprietà fondiaria dovesse essere proporzionale alla qualità dei terreni e furono individuati otto tipi di colture”. (6) Anche in quella riforma i terreni dell’agro palermitano furono dichiarati esenti da ogni tributo.

Bibliografia:

  1. C. Monti – A. Selvini – Il catasto nella storia (in AA.VV., Forma e struttura di catasti antichi – Milano 1994) – in, e Teresa Cannarozzo – Storia e cultura del territorio nelle mappe disegnate per la riforma del Catasto Siciliano – in Le Mappe del Catasto Borbonico di Sicilia – a cura di Enrico Caruso e Alessandra Nobli – Regione Siciliana – Assessorato dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione – Palermo 2001 – p. 11.
  2. Gianfranco Caniggia – Analisi tipologica: la corte matrice dell’insediamento, in AA.VV., Recupero e riqualificazione urbana nel Programma Straordinario per Napoli (a cura di Filippo Ciccone) Milano, Giuffré 1984 – in Teresa Cannarozzo – cit. – p. 12.
  3. Teresa Cannarozzo – Storia e Cultura del territorio nelle mappe disegnate per la riforma del Catasto Siciliano – in “Le Mappe del Catasto Borbonico di Sicilia”, cit. – p. 11.
  4. Renato Zangheri – I catasti, in Storia d’Italia, 5° I Documenti, Torino, Einaudi, 1973.
  5. P. Villani – Il catasto onciario ed il sistema tributario napoletano alla metà del settecento, in Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Bari 1962 – in Teresa Cannarozzo, cit., p. 14.
  6. Ludovico Bianchini – Storia economico-civile della Sicilia, ristampa a cura di F. Brancato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1971 – in Teresa Cannarozzo, cit., p. 17.

Critolao il più famoso sarto di Sicilia

Gaius Licinius Verres ( Verre) venne nominato Pretore di Sicilia nel 73 a.C. ed usufruendo di una imprevista proroga del suo mandato dovuta ...